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Caso Tizian: la mafia di slot e poker bussa alle porte delle nostre colline
Cronaca

Caso Tizian: la mafia di slot e poker bussa alle porte delle nostre colline

«Gli sparo in bocca». Il rapporto tra Giovanni Tizian e Asti nasce da una serie di intercettazioni tra il boss dei giochi Nicola «Rocco» Femia e il faccendiere nicese Guido Torello che prometteva

«Gli sparo in bocca». Il rapporto tra Giovanni Tizian e Asti nasce da una serie di intercettazioni tra il boss dei giochi Nicola «Rocco» Femia e il faccendiere nicese Guido Torello che prometteva di risolvere la situazione di questo giornalista scomodo della Gazzetta di Modena. Era il 23 gennaio di quest’anno e in quella fredda mattina molti hanno guardato il cielo con la sensazione incredula di dover chiedere scusa. Perché nonostante il sottosegretario Giorgetti sostenga che: «non è immaginabile che un settore in regime di monopolio debba affrontare una campagna di denigrazione senza precedenti» il gioco in questa storia c’entra. Eccome. Giovanni Tizian fa il giornalista. Originario di quella Bovalino, saccheggiata dalle cosche, dove un intero quartiere è detto «Paul Getty», come il nipote del ricchissimo petroliere americano rapito e vive sotto scorta da due anni. Quella telefonata partita da Asti è stata presa sul serio dal procuratore della Repubblica di Bologna.

Le cosche sembrano così lontane dalle nostre colline e gli scandali di Rivarolo Canavese e di Leinì qui da noi non han lasciato troppo il segno ma Cascina Graziella, bene confiscato alle cosche, sta solo a Moncalvo e anche da noi i sequestri della Dia sono stati diversi. «E’ ovvio che dove ci sono maggiori difficoltà – aggiunge Tizian – non si è liberi e quindi ricattabili visto che le mafie cercano professionalità. Nei giochi, ad esempio ci sono delle squadre di professionisti e non solo commerciali ma soprattutto ingegneri informatici che abbattono le giocate. Questo né Femia né Torello sono in grado di farlo in cantina ma hanno bisogno di società pulite e  registrate in Camera di Commercio. Le società di cui si servivano erano infatti di Brescia e Bergamo. Questo è l’elemento nuovo. Il processo Minotauro è un maxiprocesso; Torino è una delle capitali dell’ndrangheta e non se ne sta parlando abbastanza».  

La ‘ndrangheta “bagna i propri soldi nell’acqua del Po” – aggiunge – e le realtà medio piccole sono le più esposte al fenomeno della collusione-corruzione politica godendo di quel “capitale sociale” che rende le mafie invincibili. «Forti della codardia di chi pensa – chiude Tizian – che se tu non pensi ai mafiosi i mafiosi non pensano a te. Poi li ritrovi alla fermata del destino, fanno quasi pena, se non fosse per quegli occhi che non smettono di lanciare messaggi di sfida agli onesti». Sul muro della statale 106 della Locride dove il padre di Tizian è stato freddato dai sicari oggi c’è scritto “la Locride è anti –‘ndrangheta. Parola d’onore”. Parola d’onore che forse avremmo dovuto, come comunità, chiedergli scusa prima.

l.p.

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