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Susanna, nel lager a 4 anni: mi sono salvata perché ero la figlia di un dottore
Cultura e Spettacoli

Susanna, nel lager a 4 anni: mi sono salvata perché ero la figlia di un dottore

“La storia della nonna bambina” è il titolo di un libro illustrato, agevole nella lettura ma pesante nel contenuto, perché racconta la storia di Susanna, una bambina ebrea che a quattro anni si

“La storia della nonna bambina” è il titolo di un libro illustrato, agevole nella lettura ma pesante nel contenuto, perché racconta la storia di Susanna, una bambina ebrea che a quattro anni si trovò precipitata nell’inferno della seconda guerra mondiale e della Shoah. Il libro è stato presentato da Roberta Arias e dall’autrice Susanna Rawneh alle insegnanti delle scuole di San Damiano.

«Mio padre proveniva da una famiglia borghese – ha raccontato Susanna – studiò a Praga, poi si trasferì a Vienna, da dove fu cacciato nel 1936 in conseguenza delle leggi razziali, cosicchè si recò a Bucarest. Nel 1938 nacqui io, una bambina tremenda con i capelli rossi: vivevamo a Chernowitz, dove nel 1940 arrivarono prima i Tedeschi e poi i Russi, in conseguenza del’accordo di spartizione della Polonia stabilito dal patto Molotov – Ribbentrop. I Russi non trattarono gli Ebrei meglio dei Tedeschi e li spedirono tutti in Transnistria, dove c’erano ghetti e lager.»

L’esperienza del lager per Susanna cominciò a quattro anni, la notte in cui i soldati entrarono nella sua casa e con padre e madre la portarono alla stazione e poi, su carri bestiame, li fecero viaggiare sino al campo di concentramento. «Il primo lager era una stalla, dove dormivamo per terra e mangiavamo brodaglia una volta al giorno. Ogni settimana, quando arrivavano le SS a prendere i malati, i miei genitori mi nascondevano in una buca coperta con quel che capitava: un giorno mi scoprirono, ma il comandante del campo, l’ing. Alfred Grube, impose di lasciarmi lì e così mi salvò la vita».

Ma come ha potuto una bambina tanto piccola uscire da un’esperienza così terribile, che non risparmiò decine di migliaia di suoi coetanei? «Forse mi sono salvata – spiega Susanna – perché ero figlia di un medico, che poteva servire a tutti. Ogni tanto arrivava un contadino e mi dava una pannocchia, così mangiavo un po’. Dopo la caduta di Stalingrado cambiai ancora lager, poi i Russi ci mandarono in Romania e finalmente tornai a Chernowitz, dove ritrovai prima mio padre, poi la mamma: quando la rividi, era talmente coperta di stracci e di pidocchi che non volli riabbracciarla e questo la mamma non me lo perdonò mai.»

Nel 1947 la Romania divenne comunista: «Tutti avevano paura – ricorda l’autrice – perché bastava una parola per finire in Siberia. Verso gli ebrei non c’era una discriminazione dichiarata, ma nei fatti: a 13 anni mi tagliai la frangia e, da “pioniera” seria che ero, divenni “nemica del popolo” e  “reazionaria”, come si scrisse sul giornale della scuola che frequentavo».  Nel 1958 la sua famiglia lasciò la Romania e si trasferì in Israele; Susanna venne poi in Italia, ma nel 1976 tornò in Israele, studiando assistenza sociale e terapia della coppia.

Il libro è nato quando nel 2003 la figlia le ha chiesto di raccontare la sua storia, che la stessa figlia, Dafna Schonwald, ha illustrato, disegnando come una bambina. «Hanno criticato il mio lavoro perché mancano le parole Shoah, sterminio, nazisti: io ho voluto parlare non solo del genocidio dei tedeschi, programmato a tavolino, ma per ogni bambino, di ogni guerra di ieri e di oggi. Io la guerra l’ho vissuta ed ho avuto freddo, fame, caldo, sete e paura: non ricordo altri sentimenti». Dal 2004 Susanna ha iniziato a raccontare la sua vicenda nelle scuole e forse parlare la aiuta a sciogliere il grumo di amarezza e solitudine che le è rimasto nell’anima.

Renato Romagnoli

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