La rubrica "Un caffé con…" ci porta a casa di Giorgio Conte, cantautore profondamente innamorato della sua terra. «In famiglia abbiamo una vena artistica, e c'è chi si domanda cosa sarebbe successo se si fosse seccata. Mio fratello? Lui è più geniale, io più conviviale»
Al di là del cancello, la strada diventa una linea stretta e ondulata, che corre in mezzo alla campagna, fino al cortiletto su cui si affaccia labitazione. Latmosfera è un po rustica, calda, accogliente. Questa volta, la rubrica Un caffé con… ci porta a incontrare il personaggio di turno non in un locale pubblico, ma a casa sua. Giorgio Conte ci attende, infatti, sulluscio, tendendoci sorridente la mano. Veniamo salutati anche dallabbaiare festoso dei cani, due setter e un terrier. Il nostro arrivo non passa inosservato nemmeno dalle cinciallegre, che alloggiano di fronte al pian terreno. Mentre entriamo, il nostro ospite ci fa notare il disegno di un galletto rosso sullo zerbino. E il simbolo degli Astigiani, ma non ricordo il perché. Una curiosità che potrò soddisfare in seguito, sfogliando due pubblicazioni, che Giorgio mi regala durante la nostra chiacchierata, della rivista "Astigiani", di cui è presidente e tra i fondatori.
Ci accomodiamo in un salotto dove il ruolo da protagonista spetta a un pianoforte e ad alcune chitarre in bella mostra. Guardandosi attorno, non è difficile percepire quanto questa stanza sia generosa di ispirazione. Giorgio chiede al fotografo di fare qualche scatto alle cinciallegre, dalla finestra su cui dà lo scrittoio. Poi ci fa preparare un caffé. Scopro così che lo beve amaro, proprio come me. Da tre caffé in qua lo prendo senza zucchero cioè da tre giorni, per contenere la superficie epatica, confida, invitandomi a un brindisi con la tazzina alzata. Fin da subito, la compagnia del nostro ospite è gradevolissima: la vena poetica dellartista e la sensibilità delluomo sono sostenute da un garbato umorismo, un po anglosassone, e dalla sempre più rara virtù della semplicità. La mia impressione trova riscontro quando Giorgio afferma: Mal tollero nella gente la presunzione e la prosopopea, il presenzialismo e lintolleranza.
Sorseggiando il caffé, esprimo apprezzamento per la località, di cui immagino la bellezza in stagioni più amiche. Giorgio conferma la mia intuizione. In primavera si assiste alla fioritura di ciliegi e mandorli, allesplosione della vita, che ti coinvolge e conquista. Lestate è quella monferrina, dove a farla da padrone sono le cicale e il caldo, che però è sopportabile. Dinverno, quando nevica, sembra di essere a Cortina. Ogni periodo insomma ha il suo perché. Quindi, ho scelto drasticamente la campagna, come abitazione tutto lanno, per viverla in ogni stagione. Poi, mi indica con orgoglio la fotografia, alla parete, del nonno Attilio, che nel 1935 ha vinto il Palio per il rione Viatosto. Aveva corso con un cavallo arabo bianco, in arte Petiti, il cui vero nome era Cefisodote. In quelle parole riecheggia il legame viscerale con la campagna astigiana, dove da bambino Giorgio trascorreva parte dellestate con il fratello Paolo.
Meglio di un esperto pittore, tratteggia così, in poche, essenziali pennellate, il quadro di quel mondo straordinario. Sono colori, sapori, profumi, tanto nitidi e palpabili, da evocarne nella mia mente altri simili, altrettanto reali e al tempo stesso incantati, incorniciati però nelle campagne albesi, vicino a Guarene, un tempo di proprietà dei miei nonni materni. La campagna afferma Giorgio è sempre stata nel nostro sangue. Qui, eravamo circondati da riti come la trebbiatura, la vendemmia e la pigiatura delle uve con i piedi, lagnolottata con il vino. E poi cerano i cani, i cavalli Il paradiso era quello. Non riesco a trattenermi e lo interrompo: So cosa vuole dire, anchio ho avuto questa fortuna! Giorgio riprende a raccontarsi.
Insieme a Gino Voglino, il figlio del fattore, andavo in giro scalzo e con il salino in tasca: quando trovavamo un pomodoro maturo e caldo per il sole lo mangiavamo. Era un privilegio, così come il sapore di quelle piccole mele chiamate Pumìn damur. Ricordo inoltre che volevo entrare nella cerchia degli amici di Paolo, più grande di 4 anni rispetto a me, e che lo invidiavo perché girava in cortile su una macchinina a pedali e con i fanali che si illuminavano, su cui non mi ha mai fatto salire. Ho dovuto aspettare le giostre di San Secondo per fare finta di guidare una macchina vera. In seguito, mio nonno ha venduto la casa, dove oggi cè lIstituto Agrario, e le 80 giornate di terra circostanti, per paura di non trovare più i lavoranti. Sono rimasti due cedri libanesi, che faceva abbracciare a me e a mio fratello, per vedere quanto eravamo cresciuti. Oggi quei cedri sembrano dirmi qualcosa da lontano. A me viene il magone.
Il discorso cade sulla carriera, la cui produzione, non a caso, è profondamente permeata dal legame con questa terra, dietro la spinta di una forte passione per la musica, soprattutto jazz e dei grandi compositori americani. In famiglia si sapeva di questa nostra vena artistica, ma si diceva: E se la vena si secca? Per fortuna, non è successo. In alternativa, avrei fatto il coltivatore diretto. Mio fratello ed io abbiamo due mondi letterari e musicali diversi: lui è più geniale, io più conviviale. Il mio merito è forse di essere stato agli inizi il più intraprendente dal punto di vista pratico, spingendo Paolo a seguirmi a Milano. Lo zio Mario, lultimo notaio della famiglia, si è sempre lamentato che nessuno di noi gli abbia dato una mano nel proprio studio. Cè però la possibilità che mia figlia Lucilla, che sta facendo una bella carriera universitaria, possa gratificarne le aspettative. Mio figlio Tommaso invece è avvocato e un eccellente chitarrista, ma senza velleità artistiche. Considero che nonostante il lavoro lo abbia portato a lungo lontano, abbia comunque scelto di vivere qui. Giorgio con sincerità mi dice: Da adolescente essere astigiano mi dava un po lidea di essere scartato o di serie B. Poi Asti, con cui ora ho un buonissimo rapporto, è diventata invece quasi un vanto.
Mentre prosegue il viaggio tra ricordi e affetti, penso alle tante leggende sul fascino dellartista. Azzardo la domanda, per sapere se la musica abbia fatto la differenza anche in amore, se Giorgio sia stato più Casanova o principe azzurro. Lui esita un attimo. Abbozza sotto i baffi un mezzo sorriso, un po complice. Quindi, risponde: Qualche volta mi sono chiesto perché non avessi cominciato prima. Sì, funziona. Poi, quasi timidamente, ammette: E credo di essere stato più Casanova. Dal di fuori, la vita dei personaggi noti appare spesso dorata, ma dai ritmi difficilmente conciliabili con gli affetti più cari. Giorgio invece è riuscito a tenere saldamente in piedi famiglia e carriera. Un risultato possibile sottolinea perché mia moglie è una donna intelligente, capace di comprendere la mia passione artistica e di concedermi la libertà necessaria. Chiacchierando, apriamo altri cassetti della memoria. I ricordi spiega sono un modo per rivedere bei film. Non piango sopra il passato, ma lo vivo come linfa attuale. I miei giorni più belli sono stati tanti, quello più brutto quando mi hanno detto che mi restavano solo sei mesi. Invece li ho fregati. Ringrazio la vita che mi ha molto amato e, avendo un certo senso autocritico, chiedo scusa a chi posso avere contrariato, senza accorgermene.
Giorgio guarda lorologio. E mezzogiorno. Lei è una buona forchetta? Sì. Amo i cibi poveri e cucino la bistecca al burro, che non è facile fare ad hoc. Mi piacerebbe anche mangiare di nuovo il pieno degli agnolotti fatti in casa, che si ruba con il dito. Dovrebbe allora assaggiare quello che prepara mia madre: è davvero buonissimo! Lora di pranzo si avvicina. Tolgo il disturbo. Grazie per la bella chiacchierata! E stato un piacere. Se vuole, le faccio ancora sentire un paio di brani inediti del mio prossimo album. Certo. Sarebbe un vero regalo. Ci salutiamo così, sulle note spensierate di queste canzoni, che aggiungono sapore a uno di quegli incontri che sanno di buono, e con un motto di Brofferio, che Giorgio recita in dialetto: A tort o a rasùn, fati mai buté en persùn. La frase, che può sembrare un po berlusconiana ironizza mi ricorda la mia vecchia toga da avvocato e lo spirito piemontese, fatto di saggezza e prudenza.
Manuela Zoccola