Annata disastrosa per la nocciola piemontese. A livello regionale si stima un dimezzamento della produzione e l’Astigiano non fa eccezione. Alcuni soci Cia lamentano di aver addirittura perso l’intero raccolto a causa dei danni, diretti e indiretti, provocati dalle condizioni climatiche avverse. Gli strascichi della siccità delle annate passate, la grave gelata di aprile e le fitte piogge dei mesi successivi hanno comportato significativi effetti negativi sulla capacità di sviluppo della pianta di nocciolo, nonché il manifestarsi di marcati attacchi da parte dei parassiti, richiedendo numerosi interventi agronomici.
I tecnici di Cia Asti stimano che il costo medio di gestione di un noccioleto abbia superato i 3600 euro ad ettaro (si veda il dettaglio nella tabella allegata). I ricavi, invece, sono ormai da anni scesi attorno ai 2000 euro per ettaro, a causa delle basse rese produttive dovute agli effetti del cambiamento climatico: si parla di una riduzione che varia mediamente tra il 40 e il 70% rispetto alla capacità produttiva potenziale per ettaro, con picchi di fino al 90% tali da indurre i produttori a rinunciare alla raccolta.
L’ex presidente di Cia Asti Alessandro Durando (foto), ora referente della corilicoltura per Cia Piemonte, segnala perciò l’esigenza di interventi drastici a protezione delle aziende che si trovano ad affrontare situazioni di criticità ormai stabilmente, da un anno all’altro.
“La corilicoltura non può essere una “missione”, deve essere un’attività remunerativa – dice Durando – per fare Nocciola Piemonte di qualità, quella che il mercato ci chiede, dobbiamo gestire la coltura seguendo le buone pratiche agronomiche che hanno costi insostenibili senza la prospettiva di un ricavo adeguato. I segnali di crisi sono già evidenti: molti produttori stanno rinunciando alla manutenzione dei noccioleti e la creazione di nuovi impianti è fortemente rallentata”.
Durando ha un pacchetto di proposte per enti e istituzioni.
“Chi fa corilicoltura ha sempre più bisogno di assistenza tecnica qualificata e di ricerca scientifica per mitigare l’impatto delle avversità climatiche, tra siccità estrema, gelate improvvise e piogge devastanti. I privati, da soli, non possono sostenere questi sforzi, vanno sostenuti con misure specifiche che però devono avere tempi certi, nell’emissione come nei pagamenti. Sottolineo quest’ultimo aspetto perché molti agricoltori sono tutt’oggi in difficoltà a causa dei ritardi di mesi nell’incasso dei contributi regionali concessi sulla carta”.
Un’altra richiesta è indirizzata a tavoli tecnici e politici: <Visto che gli effetti del climate change interessano trasversalmente tutte le produzioni, bisognerebbe trovare un modo per assicurare il reddito delle imprese agricole, calcolando, sulla base di parametri tecnici e scientifici, il valore della loro produzione annuale. Quella che, ad oggi, nessuna assicurazione è disponibile a proteggere se non a costi improponibili data l’alta classe di rischio>.
Si pensa ad un’iniziativa su scala nazionale <si potrebbero utilizzare i fondi del Pnrr visto che, a tutti gli effetti, si tratta di aiutare le imprese a “resistere” all’impatto climatico, contrastando il rischio di spopolamento delle campagne. E’ chiaro a tutti che senza agricoltura non c’è futuro per le nostre comunità>, conclude Alessandro Durando.
Tabella (fonte Cia Asti) – Costo medio di gestione calcolato facendo riferimento ad una gestione della coltura attuata secondo le buone pratiche agronomiche.
Voce di costo | € / ha |
Costo medio totale macchinari | 1.517,42 |
Costo medio totale manodopera | 1.464,00 |
Costo medio totale mezzi tecnici | 636,28 |
Costo medio totale di gestione | 3.617,70 |