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Tribunale di Milano su sentenza Veronica: Berlusconi non dileggi
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Tribunale di Milano su sentenza Veronica: Berlusconi non dileggi

Tribunale di Milano su sentenza Veronica: Berlusconi non dileggi
Ex premier: alimenti a Lario decisi da 3 “giudichesse femministe”


Milano, 9 gen. (TMNews)
– Respingono ogni insinuazione i tre giudici del Tribunale di Milano, accusati da Silvio Berlusconi di essere “comuniste e femministe” e che hanno deciso la cifra degli alimenti da versare alla ex moglie Veronica Lario nella sentenza di separazione. Inoltre i giudici invitano a evitare “ogni espressione di dileggio” nei confronti della magistratura.

“Respingiamo con fermezza ogni insinuazione sulla non terzietà dei giudici del Tribunale di Milano, componenti del collegio giudicante nella causa Bartolini Berlusconi essendo a tutti nota la diligenza e la capacità professionale delle stesse, quotidianamente impegnate nella fatica della giurisdizione nella delicata materia del diritto di famiglia”. Lo affermano in un comunicato il presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro e il il presidente della corte d’appello Giovanni Canzio replicando al Cavaliere.

Berlusconi ha parlato ieri per la prima volta della sentenza di divorzio da veronica Lario e ha attaccato le “tre giudichesse femmiste e comuniste” che hanno deciso gli alimenti per l’ex moglie. “Non sono 100 mila euro al giorno, sono 200 mila al giorno”. Ha affermato Berlusconi a Otto Mezzo parlando della sentenza.

Una sentenza e una cifra decisa da “tre giudichesse femministe e comuniste. E’ una cosa che sta nella realtà: 36 milioni con un arretrato di 76 milioni. Questi sono i giudici di Milano che mi perseguitano dal ’94”. Nella causa con Veronica Lario “farò un appello, ma spero di poter trovare un accordo visto che siamo in rapporti civilissimi”, ha aggiunto il leader del Pdl.

Pomodoro e Canzio hanno ricordato nella nota la raccomandazione del consiglio d’Europa “che prescrive ai rappresentanti dei poteri esecutivo e legislativo di evitare nel commento delle decisioni ogni espressione di dileggio che possa minare la fiducia dei cittadini nella magistratura e compromettere il rispetto sostanziale delle medesime decisioni”.

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