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Fisco/ Imu, per Bruxelles incomprensibile demonizzarla
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Fisco/ Imu, per Bruxelles incomprensibile demonizzarla

Fisco/ Imu, per Bruxelles incomprensibile demonizzarla
Prioritario invece ridurre tassazione lavoro, la più alta dell’Ue


Bruxelles, 6 feb. (TMNews)
– “Demonizzare l’Imu non è giusto, e neanche conveniente: non è certo l’imposta che fa più danno economico; la priorità in Italia dovrebbe essere la riduzione delle tasse sul lavoro, che sono le più alte nell’Ue e tra le più alte nel mondo”. E’ il commento ‘off the record’ di un esperto comunitario che spiega bene un atteggiamento comune un queste settimane a Bruxelles, dove ufficialmente non possono essere rilasciate dichiarazioni sulle polemiche in corso nella campagna elettorale italiana, né tanto meno sulle evoluzioni di breve termine dei mercati che certe prese di posizione possono causare.

Se si guardano i dati, in effetti, la focalizzazione della campagna elettorale italiana sull’Imu, sulla sua abolizione o addirittura sul suo rimborso appare poco comprensibile dal punto di vista economico. La tassazione sulle proprietà immobiliari in Italia non è affatto più alta che in altri Stati dell’Ue e dell’Ocse, e la nuova Imu ha modificato solo marginalmente questo dato di fatto. Inoltre, va ricordato che non solo la Commissione europea, ma anche l’Ocse e l’Fmi avevano recentemente raccomandato all’Italia (così come anche alla Germania e ai paesi nordici) di aumentare la tassazione sulla proprietà, alleggerendo quella sul lavoro.

Secondo i dati del 2010, nell’insieme dei paesi anglosassoni dell’Ocse (Australia, Canada, Irlanda, Regno Unito, Usa e Nuova Zelanda) le imposte annuali sulle proprietà immobiliari rappresentavano in media il 2,4% del Pil; nell’Ue, invece, la media è molto più bassa, lo 0,7%, e lo 0,6% nell’Eurozona. Lo 0,6% è anche il dato dell’Italia (sempre nel 2010, dunque prima dell’introduzione della nuova Imu). Gli altri grandi paesi Ue, a parte il caso significativo della Germania (0,5%), hanno forme di tassazione annuale sugli immobili più alte: la Gran Bretagna è al 3,4% del Pil, la Francia al 2,3%, la Spagna all’1%, la Polonia all’1,2%. Anche il Belgio e la Danimarca hanno imposte immobiliari più alte (rispettivamente 1,3% e 1,4%).

Se si guardano invece i dati sul carico fiscale medio che pesa sui lavoratori (tassazione sui redditi da lavoro più contributi e oneri sociali delle imprese), l’Italia, sempre nel 2010, aveva il record assoluto in Europa (il 42,6% del reddito), ed era anche il paese che l’aveva aumentato di più (4,8%) rispetto al 1995. Al secondo posto c’è il Belgio con il 42,5%, mentre fra gli altri grandi paesi la Francia è al 41%, la Germania al 37.4%, la Spagna al 33%, il Regno Unito al 25,7%. E’ questa la classifica in cui bisognerebbe cercare di scendere di qualche posto, riducendo il cuneo fiscale, invece di polarizzare il dibattito elettorale contro la tassa sulla casa.

Certo, come hanno sottolineato diversi rapporti della Commissione europea, l’Imu può essere resa più progressiva, in particolare adeguando i valori catastali degli immobili ai valori di mercato reali (invece che rivalutando automaticamente i valori catastali del 60%, com’è stato fatto) e modulando meglio le detrazioni per le prime case, ma, sottolinea l’esperto comunitario, “non è certo un’imposta socialmente meno equa di altre. Anzi, rispetto ad altri tipi di tasse ha il vantaggio di non poter essere evasa (a meno di irregolarità nell’accatastamento degli immobili), e di colpire progressivamente di più le proprietà più grandi, indicatori di maggiore ricchezza”.

Insomma, “se si vuole ampliare la base imponibile, è meglio farlo con l’imposta sugli immobili che non aumentando l’Iva o l’Irpef, sia perché è meno deleterio per occupazione e crescita economica, sia per ragioni di equità fiscale: l’Irpef può essere resa più progressiva, ma poi a pagare sono comunque i soliti noti; l’Iva è stata aumentata notevolmente negli ultimi anni, ma non se ne parla altrettanto: colpisce tutti i giorni, è regressiva ed è più facile da evadere, ma è meno visibile dell’Imu, che oltretutto è l’imposta più recente, quindi – conclude l’esperto – la più facile da attaccare”.

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