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Nordcorea/ Cosa c'è dietro l'escalation di minacce di Pyongyang
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Nordcorea/ Cosa c’è dietro l’escalation di minacce di Pyongyang

Nordcorea/ Cosa c’è dietro l’escalation di minacce di Pyongyang
Attacchi a uso interno per ostentare sicurezza, ma non solo


Roma, 2 apr. (TMNews)
– La Corea del Nord non è affatto nuova a minacce e provocazioni collegate al suo programma nucleare, ma nelle ultime settimane la retorica militarista di Pyongyang ha subito un’escalation preoccupante: prima la minaccia di rompere l’armistizio con Seoul del 1953, poi l’interruzione di una “linea rossa” di comunicazione con il Sud sul confine, quindi l’annuncio di aver messo in stato di allerta le sue forze armate e di aver puntato le sue testate contro le basi Usa nel Pacifico. E soprattutto, la sbandierata determinazione a effettuare un attacco nucleare preventivo contro gli Usa o la Corea del Sud.

Finora, come ha spiegato alla Bbc l’esperta di analisi nucleare al Royal United Services Institute di Londra, Andrea Berger, il regime nordcoreano ha dato seguito soltanto all’interruzione della “linea rossa” di comunicazione, e molti osservatori dubitano che andrà oltre gesti dimostrativi, almeno nel futuro prossimo. I continui attacchi verbali del dittatore Kim Jong-un – ragionano in molti – hanno come principali destinatari di ascolto i suoi concittadini, sono cioè a uso interno per dimostrare che il giovane e inesperto successore di Kim Jong-il è un vero leader.

Eppure la quantità e successione ravvicinata di minacce è tale – stamattina Pyongyang ha affermato di essere entrata in “stato di guerra” con il Sud, anche se tecnicamente la guerra dal 1953 non è mai finita per la mancanza di un trattato di pace – da richiedere una lettura più approfondita.

Innanzitutto, osserva Berger, la Corea del Nord è preoccupata dalle esercitazioni militari congiunte Usa-Corea del Sud che si stanno svolgendo in questi giorni, e che hanno visto i bombardieri americani B-52 sorvolare i cieli coreani. Se infatti, da un punto di vista occidentale, un’esercitazione è al massimo una dimostrazione di forza, dal punto di vista coreano – e soprattutto nordcoreano – può essere interpretata come il preludio di un vero attacco. E questo non soltanto per la tradizionale tendenza di Pyongyang a vedere pericoli ovunque, ma anche perché il regime comunista ragiona in termini prioritariamente militari, e nel 1950 scatenò la guerra con il sud proprio con la scusa di una falsa esercitazione.

In passato alcune amministrazioni americane, come quella di Bill Clinton, conoscendo queste specifiche ‘sensibilità’ del regime nordcoreano, avevano cancellato le manovre congiunte con Seoul, nella speranza di favorire il dialogo. Ora invece, in un momento delicato come quello dei primi anni di successione di Kim Jong-un al suo padre, le esercitazioni Usa-Corea del Sud aumentano i rischi di errori di valutazione dalle due parti, le cui conseguenze sono difficili da prevedere.

A esacerbare la paura e l’aggressività di Pyongyang – e il rischio di un incidente con conseguenze incalcolabili – una settimana fa c’è stata la firma fra Usa e Corea del Sud di un nuovo accordo militare: in base alla nuova intesa, gli Stati Uniti si impegnano a una risposta militare congiunta anche in caso di provocazioni di livello minore, e non solo in caso di esplosione di un conflitto su larga scala.

Il tutto mentre la nuova leadership sudcoreana della signora Park Geun-hye, dai toni spiccatamente nazionalisti, continua a premere per ottenere dagli Stati Uniti il permesso – finora sempre negato – di riutilizzare il suo combustibile nucleare usato: Seoul afferma di voler procedere soltanto a un arricchimento di basso livello dell’uranio, per finalità civili, ma Washington non vede di buon occhio l’idea, e l’accordo vigente – che proibisce questa possibilità – scade nel marzo del 2014.

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