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La storia

Asti, è passato troppo tempo, la morte di Roberto è un caso chiuso

La riapertura del fascicolo da parte della procura di Savona aveva rinfocolato le speranze del padre Bruno. Ma è stato subito richiuso e archiviato

Trent’anni sono troppi anche per le moderne tecnologie di investigazioni.
Quello che è stato chiuso in pochi giorni come un caso di suicidio non si può più riaprire perchè non è più possibile riprendere in mano le indagini.
In questi anni i testimoni più importanti sono morti, un altro è in carcere, il fascicolo era stato eliminato 10 anni dopo la sua chiusura e anche i pochi reperti trovati sulla scena del decesso sono andati distrutti.
Eppure Bruno Gianoglio ci aveva sperato. E tanto.
Dal giugno del 1994 si batte come un leone per fare chiarezza sulla morte del figlio Roberto, avvenuta per impiccagione nello stabilimento balneare Ariston di Andora, dove lavorava da qualche tempo.
«Mio figlio non si è ucciso, lo hanno strangolato e hanno inscenato un suicidio»: queste parole, come un mantra, accompagnano Gianoglio da trent’anni.
Si è rivolto a tutti per non far chiudere il caso e poi è tornato a chiedere a tutti di riaprirlo.
Nei mesi scorsi il pm Ferro, di Savona, ha raccolto il suo appello, lo ha contattato e si è fatto portare dall’uomo tutti gli atti giudiziari che aveva custodito gelosamente in questi anni.
Ha preso visione dei verbali e delle foto del ritrovamento di Roberto ma alla fine ha dovuto rinunciare alla riapertura del caso perchè non è più possibile lavorarci. Non si possono più fare accertamenti autoptici, i testimoni si sono dispersi nel tempo, il titolare dello stabilimento è morto per mano di un suo dipendente ora in carcere.
«La legge non è uguale per tutti – commenta amaramente Bruno Gianoglio che porta i segni di una vita di fatica e di dolore per la perdita del figlio – Non si è indagato subito come si doveva, nessuno ha voluto farlo dopo e adesso è troppo tardi. La conclusione è che chi ha ucciso mio figlio, un ragazzo buono, lavoratore ed ingenuo, può girare liberamente senza subire alcuna punizione».
Gianoglio una sua idea su come siano andate le cose ce l’ha ben chiara e l’ha fatta presente anche al pm. Non si può pubblicare perchè non c’è alcuna prova a sostegno.
Ma lui afferma che «E’ stata una ripicca nei miei confronti e ci è andato di mezzo Roberto, che non ne poteva nulla. Morirò con l’amarezza di non vedere in galera chi ha ucciso mio figlio e con il rimorso di non essere riuscito a difenderlo».
Lui, Roberto lo aveva sentito il giorno prima che morisse, avevano parlato normalmente e nulla faceva pensare che volesse togliersi la vita, anzi.
«Non so più a chi rivolgermi per essere ascoltato, mi resta solo più la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Se mi resta la forza – ha detto ancora il padre di Roberto – farò quest’ultimo tentativo per fare giustizia».

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