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La mano e il piede di DioI trent’anni del “gol del siglo”
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La mano e il piede di Dio
I trent’anni del “gol del siglo”

Nei banchetti di strada di Buenos Aires, oltre ai comuni souvenir e alle solite e abbastanza discutibili palle di vetro con la neve, potreste trovare ancora oggi dei curiosi libriccini, abbastanza

Nei banchetti di strada di Buenos Aires, oltre ai comuni souvenir e alle solite e abbastanza discutibili palle di vetro con la neve, potreste trovare ancora oggi dei curiosi libriccini, abbastanza vecchi di solito. Se li guardate bene, sembrano come i cartoni animati dei primi tempi, quando furono inventati: un piccolo libretto di tante pagine e su ognuna un disegno. Fate scorrere le pagine velocemente e sembra di guardare delle immagini in movimento.

Solo che in questo cartone animato il protagonista non è un il topo con le braghe rosse, e nemmeno un eroe della Marvel: è un piccoletto, con la faccia sporca di chi è cresciuto in un barrio difficile, i capelli ribaldi e indossa una maglia albiceleste con un dieci sulle spalle. E se fate scorrere le immagini, vedrete questo piccolo angelo dalla faccia sporca danzare con un pallone nei piedi per oltre cinquanta metri di campo e poi appoggiarlo in rete. Cè anche il video di quella scena, ma se volete guardarlo, è inutile cercare quando e dove ha avuto luogo: basta scrivere “el gol del siglo”; e l’eroe del cartone animato si chiama Diego Armando Maradona, uno che in Italia, soprattutto nelle terre di Partenope, lo conosciamo pittosto bene, e quella scena avvenne in una torrida estate messicana di ormai quasi trent’anni fa.

Si tenevano in Messico infatti i campionati del mondo di calcio, e ai quarti di finale si scontrano Inghilterra e Argentina. Mai amate, e uscite solo cinque anni prima da uno scherzo di guerra costato mille morti per due rocce nell’Atlantico. Gli argentini non si sentono forti, sono demoralizzati e ricordano il dolore della guerra perché qualcuno ha perso dei familiari, degli amici alle Malvinas; e Diego, che se dovessimo inquadrarlo storicamente sarebbe la trasfigurazione india di Masaniello con l’autorevolezza di Ottaviano Augusto se li carica sulle spalle e dice loro che oggi, oggi si combatterà anche per gli amici perduti, e per dimostrare che il popolo argentino dev’essere rispettato dal mondo perché nonostante tutte le avversità non ha mai smesso di lottare contro gli oppressori, umani e non.

E quando Shilton, il portiere inglese, sta per prendere un’innocente palla alta, lui si avventa e la colpisce, e poi corre dai compagni a esultare; sa benissimo di averla colpita con la mano, e più tardi confesserà anche, ma cosa importa? In quel momento, lui si sente un liberatore di popoli oppressi, e forse a colpire la palla è stata veramente la mano de Dios. E poi no: dopo è un’altra cosa. Perché Maradona non può vincere solo così: certo che Il Barba, come lui lo chiama affettuosamente, gli ha dato una mano, ma ora è il suo momento. E quando prende la palla e punta la porta, le sue gambe si muovono con una musicalità che lo rappresenta, e la sua è una danza fino alla porta. Rischia fino all’ultimo, ma tanto tutto il popolo argentino si fida di lui. Sanno benissimo che segnerà: e segna il più bel gol della storia del calcio. Prendetelo quel libretto, se vi capita: ne vale la pena, eccome se la vale.

Luca Mombellardo

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