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Pensare ad una Asti per i bambini
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Pensare ad una Asti per i bambini

È curioso che tra le prime cose che i bambini imparano a disegnare da piccoli vi siano gli edifici: normalmente casette ad un piano con il tetto a punta (e qualche fiore intorno); più raramente

È curioso che tra le prime cose che i bambini imparano a disegnare da piccoli vi siano gli edifici: normalmente casette ad un piano con il tetto a punta (e qualche fiore intorno); più raramente palazzi alti con tante finestre piccine piccine (e nessun fiore intorno); i più arditi si cimentano con castelli turriti (e fossati pieni di coccodrilli intorno). Esperienza che ripetono all’asilo o nella loro cameretta con i mattoncini delle costruzioni e anche in riva al mare con sabbia, paletta e secchiello.
I piccoli guardano, vedono e cercano di capire quello che hanno intorno; certo, una città è difficile da comprendere, ma spesso lo è anche per gli adulti e persino per quanti sono chiamati a progettarla e a pianificarne gli sviluppi.

Uno degli spunti più interessanti emersi dalle giornate del primo Festival dell’Architettura Astigiano, una delle possibilità per immaginare l’Asti di domani, credo sia stato il tema della città a misura di bambino.
Un’Amministrazione capace di cogliere lo sguardo dei più piccoli, di scegliere il bambino come riferimento della propria filosofia di governo del territorio, saprà certamente accogliere le esigenze e le diversità di tutti i suoi abitanti.

Da alcuni anni si sono moltiplicati i progetti e le iniziative che hanno individuato il bambino come garante dello sviluppo sostenibile delle città; penso ad esempio ai progetti educativi di singole scuole, ordini professionali, enti ed associazioni come il MUBA – Museo dei Bambini di Milano, che non molto tempo fa ha organizzato un laboratorio dedicato al “Bambino architetto”: in tale occasione veniva proposta ai piccoli l’esperienza della costruzione di architetture effimere, in modo che potessero con tali cantieri modificare spazi pubblici e privati della città, lasciando quindi traccia del proprio passaggio, con il duplice risultato di ricordare agli adulti la presenza creativa dei piccoli e regalare ai bambini l’emozionante sensazione di poter in qualche modo modificare il mondo che li circonda.
Penso anche alle molteplici iniziative dell’A.I.C.E. (Associazione Internazionale delle Città Educative), organismo permanente di confronto e collaborazione con le municipalità che ad oggi riunisce più di 500 amministrazioni locali di 38 paesi nel mondo, e che ha tra le sue finalità quella di «(…) scambiare, cooperare e progredire nello sviluppo e nell’incremento delle pratiche ispirate dalla “Carta delle Città Educative”»: anche Torino nel 1990 ha sottoscritto la “Carta”, dando vita a progetti molto interessanti tra i quali la nascita della figura dell’”architetto tutor”, o ”architetto dei bambini”, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Torino, ed il progetto “Città in Gioco”.

La città di oggi ci piace poco, è indubbio: ma chiediamoci perché.
Negli ultimi decenni gli adulti hanno immaginato, progettato e costruito le città adattandole esclusivamente alle proprie esigenze e a quelle delle proprie automobili. Il soggetto “bambino”, l’infanzia in generale, ma anche l’anziano, il disabile, lo straniero, il povero, pesano poco oggi nella pianificazione urbana, sono stati esclusi: non possiedono né tempi, né spazi per loro. Soprattutto non hanno voce, specie per la politica. (Ri)pensare ad una città amica dei tempi e degli spazi dei bimbi trovo sia un ottimo modo per immaginarla più adatta a tutti, più democratica.

I binomi territorio-risorse, trasporti-mobilità, servizi-cure sono alcuni degli “oggetti” da modificare per cambiare i tempi di vita delle persone e migliorare la qualità urbana dei luoghi dove esse vivono.
Credo che per operare buone scelte, in ogni campo, occorra saper ascoltare i bisogni, e capirli: certo è difficile, perché spesso quelli che hanno più cose da dire possiedono le voci più flebili.
Ascoltare e cercare di capire il linguaggio dei bambini vuol dire dar loro importanza, riconoscere che hanno pensieri da esprimere e che sono in grado di farlo. Occorrono però due capacità importanti: la prima è quella di saper trovare la chiave di lettura per individuare le parole “nascoste” che suggeriscono qualcosa di rilevante per tutta la collettività; la seconda è il coraggio di tener conto, nella progettazione urbana e nelle azioni politiche conseguenti, di quanto appreso dai bambini.
Nel ripensare un nuovo futuro per Asti non dimentichiamoci dei suoi cittadini più fragili ed iniziamo già da ora ad immaginare una città adatta a loro, poiché questo significa progettare, pianificare e governare in modo che la stessa città risulti più adatta a tutti i suoi abitanti.

Marco Pesce

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