Se ne è andato un altro partigiano simbolo della Resistenza sulle nostre colline. Nei giorni scorsi si sono tenuti i funerali di Remo Rissone, nato a Sant’Anna di Rocca d’Arazzo nel 1926, combattente con il nome di battaglia “Astro”.
Nel giugno del 1944 entra nella 98.ma brigata Garibaldi comandata da Battista Reggio “Gatto” e Dionigi Massimelli “Nestore”, formazione che ha un distaccamento in paese, dove opera anche la brigata autonoma Rocca d’Arazzo comandata da Amelio Novello “Marini”.
Il 2 dicembre ’44 proprio nella zona tra Rocca e Castello di Annone inizia il grande rastrellamento nazifascista contro il territorio della Repubblica dell’Alto Monferrato (nata in ottobre con capitale a Nizza e comprendente 40 comuni astigiani tra il Tanaro, le Langhe, l’Albese e la pianura alessandrina). I partigiani dopo aver resistito tra Rocca e Sant’Anna per alcune ore, devono sganciarsi verso sud per evitare che la popolazione venga coinvolta nei combattimenti; Remo si sposta a piedi nelle Langhe, dove perde il contatto con i compagni garibaldini.
Il 5 dicembre incontra casualmente un compaesano appartenente alla brigata autonoma Rocca d’Arazzo, anch’essa spostatasi nella media valle Belbo dove opera il comando della II divisione autonoma agli ordini di Piero Balbo “Poli” (il “Comandante Nord” dei racconti partigiani di Fenoglio).
Remo entra così a far parte delle formazioni autonome. Rientra a Rocca d’Arazzo solo dopo l’attacco partigiano al presidio fascista del paese (28 gennaio 1945, attacco portato dai garibaldini di “Gatto” e “Nestore”) e combatte con gli autonomi di “Marini” fino alla Liberazione. Collaboratore dell’Israt dalla sua fondazione nel 1984, la sua fotografia di giovane partigiano è sulla copertina del volume “Attila, Pepe e gli altri – La lotta partigiana tra il Monferrato e le Langhe” (Israt edizioni, 2019) scritto da Mario Renosio, direttore dell’Istituto Storico per la Resistenza di Asti.
Remo non ha mai mancato una festa del 25 Aprile e a tutte le celebrazioni partigiane portava ancora con grandissimo orgoglio il fazzoletto azzurro al collo. Amava raccontare di sentirsi ancora un antifascista Partigiano con la “P” maiuscola, dicendo che a quel fazzoletto, tanti anni prima, aveva legato la promessa di riscatto per un’Italia libera e democratica.
Per la sua costante e attiva presenza alle manifestazioni, era un importante punto di riferimento per i figli e i nipoti dei partigiani e per tutti coloro che si riconoscono nei valori della Resistenza.
Nel 2015 fu anche insignito dell’onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica italiana.