Trent’anni fa oggi, Asti e mezza provincia si svegliava nel fango e con l’acqua che bussava alle porte del primo piano dei palazzi.
La nostra provincia contò due vittime dirette a Canelli, i coniugi Fiorentino Genovese ed Elide Sciutto e altri decessi ad Asti per imprenditori e privati il cui cuore non aveva retto alla devastazione che aveva portato via un’intera vita di sacrifici. Cosa resta di quella severissima lezione della natura?
Ne parliamo con Sergio Perazzo, all’epoca vice sindaco di Nizza diventato un esperto in prevenzione di calamità idrogeologiche.
«Mentre sull’asta del Belbo e nel Sud Astigiano sono state fatte opere di prevenzione importanti come la cassa di espansione di Canelli e il rifacimento del ponte sul Nizza ad unica arcata, sul Tanaro le cose sono andate diversamente. Infatti – spiega – sono state completamente disattese le previsioni di costruzione delle già progettate casse di espansione da Alba a Cerro Tanaro».
In un notiziario dell’Aipo datato 2006 era sottolineato come fosse indispensabile costruirle in quanto in quel tratto vi è un utilizzo delle aree golenali (quelle di sfogo in caso di piena) di appena il 20%.
Il progetto prevedeva due serie di quattro settori di laminazione, costituiti da terreni arginati che, all’occorrenza, avrebbero accolto l’acqua esondata impedendo che “corresse” verso città e attività.
Le prime quattro casse di espansione erano progettate fra Alba e Asti per un totale di circa 700 ettari di superficie. Le altre quattro, secondo gli studi Aipo, sarebbero dovuto sorgere a protezione di Rocchetta Tanaro, Cerro Tanaro e Masio con l’impiego di altri 400 ettari di terreni sacrificabili in caso di esondazione.
E se sembrano tanti, va considerato che l’Aipo indicava in 70 milioni di metri cubi il volume ideale da contenere nelle casse di laminazione per mettere al sicuro i centri abitati prima di Alessandria.
Nessuna di queste casse di espansione, ad oggi, è stata realizzata.
«Sul fatto che servano ancora non c’è dubbio – prosegue Perazzo – ma serve anche mettere in agenda al più presto una nuova valutazione del rischio, visti i cambiamenti climatici, e un adeguamento dei dati che avevano portato a quei calcoli, ormai datati. Eppure non mi sembra che qualcuno se ne stia preoccupando».
Ricordando a tutti quelli che, alla vista delle drammatiche immagini dell’ultima alluvione in Emilia Romagna dicevano che Asti era al sicuro con gli argini che la proteggono ribadisce: «Se fosse venuta giù qui la stessa quantità di pioggia, saremmo di nuovo andati tutti a bagno».
E se questa priorità non entra nelle agende degli amministratori e dei tecnici, potrebbero tornare i Comitati degli Alluvionati Piemontesi a chiederlo. Si ritroveranno ad Alba, in questi giorni, per partecipare ai tanti eventi organizzati per il trentennale ma anche per ricompattarsi e riprendere le fila di ciò che ancora resta da fare per la sicurezza di case, città e attività.
Proprio l’esperienza dei Comitati è stata un caso tutto piemontese che, in qualche modo, ha fatto scuola, dimostrando che oltre alle proteste di piazza (anche vigorose), i risultati che vennero messi a segno furono il frutto di una collaborazione e una mediazione continua con le istituzioni. Politiche, amministrative e tecniche. Il garbo degli alluvionati piemontesi unito ad una determinazione senza uguali, fece in modo, negli anni, di ottenere i decreti sugli aiuti alle rilocalizzazioni delle attività ma anche di accedere durante l’emergenza ai fondi messi a disposizione dal Governo attraverso le banche (che all’inizio resero difficile questa distribuzione di finanziamenti a fondo perduto o a tasso agevolato) e di ottenere, seppur molti anni dopo, l’equiparazione dei rimborsi danni a quelli disposti per la Sicilia. Anche se, su questo fronte, rimangono ancora in piedi strascichi giudiziari.
Il Piemonte fece lezione anche in un altro campo: quello politico. I parlamentari della regione che si susseguirono negli anni della ricostruzione fecero quadrato a Roma, indipendentemente dalle appartenenze politiche.
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Doppia iniziativa
- Massimo Elia
Una risposta
Dovremo aspettare un’altra alluvione per vedere realizzate le opere di protezione della città?