Anche da Asti è stato lanciato l’appello della società civile e della comunità LGBTQI+ affinché il Governo riconosca le rivendicazioni delle famiglie omogenitoriali a poter cresce un figlio che abbia gli stessi diritti di quelli delle “famiglie tradizionali”. Diritti chiesti da persone che non vogliono essere dei fantasmi davanti alla legge e che, sovente, già vivono episodi di discriminazione proprio perché appartenenti alla comunità LGBTQI+.
Mercoledì pomeriggio, in piazza San Secondo, durante la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia (o IDAHOBIT, acronimo di International Day Against Homophobia, Biphobia, Transphobia), si è svolto il flashmob organizzato dall’associazione Asti Pride. Un momento per riflettere e chiedere non solo diritti, ma anche la rimozione degli ostacoli, spesso culturali prima che legali, che impediscono alle famiglie arcobaleno la possibilità di essere riconosciute in maniera completa a cominciare dalla trascrizione dei loro figli alle anagrafi dei Comuni.
«Anche i nostri figli meritano due genitori», «Giù le mani dai nostri figli» e altri cartelli sono stati esposti davanti al municipio di Asti mentre la manifestazione procedeva nonostante il maltempo. La Giornata internazionale contro l’omofobia è stata un momento importante per allargare il discorso anche oltre i confini nazionali, guardando ai molti Paesi dove l’omosessualità è considerata un reato (2 miliardi di persone vivono in stati che la puniscono).
«I livelli di violenza contro la comunità LGBT+ sono allarmanti, anche se ampiamente sottosegnalati – ricordano da Asti Pride – Restando in Italia, gli episodi denunciati di omo-bi-transfonbia, tra aprile 2022 e marzo 2023, sono 115, che hanno colpito 165 vittime distribuite in 62 località. (qui il report completo). Come sempre, anche nel periodo 2022-2023, è stata registrata un’impennata estiva del fenomeno, legata in parte agli ambienti in cui le aggressioni omofobe avvengono più frequentemente, come le strade e i locali pubblici, e in parte al “Pride Month”, periodo in cui la comunità LGBT+ si espone maggiormente partecipando a pride e manifestazioni a sostegno dei diritti civili».
«Nell’ultimo anno – continuano dall’associazione – si registra però un picco nel mese di febbraio, cioè quello in cui vi è stata una martellante campagna di disinformazione sulla maternità surrogata (indegnamente chiamata “utero in affitto”) a cura delle forze di governo e dei media che le sostengono. Non è la prima volta che il fenomeno dell’omotransfobia viene influenzato dal dibattito politico: picchi notevolissimi si erano registrati nell’agosto 2020 e nel giugno 2021, in occasione della presentazione del ddl Zan alle Camere. Si conferma così l’idea che il ricorso alla violenza omofoba è, per alcuni, una forma di espressione politica. Proprio per questo motivo le forze di governo e i media che le sostengono sono da ritenersi complici degli aggressori, colpevoli di fornire a questi criminali un movente per colpire e una giustificazione per sentirsi portavoce di un’ideologia pericolosa».
La comunità LGBTQI+, e con lei la società civile che è al suo fianco in questa rivendicazione di diritti previsti dalla Costituzione, punta il dito contro l’attuale Governo guidato da Giorgia Meloni e contro quella che definisce «un’offensiva istituzionale contro le famiglie omogenitoriali: prima la circolare con cui si è chiesto ai comuni di smettere di registrare i genitori non biologici negli atti di nascita di bambini con due padri o con due madri, poi l’opposizione a una proposta di regolamento europeo sul tema. Quello che era un contesto già molto difficile per le famiglie omogenitoriali, dove in assenza di una legge si era costretti a muoversi tra regolamenti locali e sentenze giudiziarie, ora si è arricchito di nuovi ostacoli».
[foto Billi]