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Attualità

All’Albo pretorio i contributi
per le piante da tartufo

La segretezza dei luoghi che custodiscono piante da tartufo è uno dei fondamenti della passione (o della professione) dei trifulau. Con una nuova normativa, la Regione potrebbe rendere questa

La segretezza dei luoghi che custodiscono piante da tartufo è uno dei fondamenti della passione (o della professione) dei trifulau. Con una nuova normativa, la Regione potrebbe rendere questa segretezza “un po’ meno segreta”. L’assessore Valmaggia, infatti, ha dato il suo assenso ad una richiesta secondo la quale ogni Comune ha l’obbligo di esporre all’Albo Pretorio il nome dei proprietari che hanno ricevuto contributi per le piante da tartufi accanto alla cifra ottenuta e all’indicazione del numero di piante che ne hanno diritto.

Non c’è ovviamente l’ubicazione geografica della pianta, ma in un Comune si può sapere adesso quante piante da tartufi per la libera cerca ci sono. Questo a fronte di un aumento progressivo del contributo per pianta che dovrebbe passare in qualche anno a 15 euro per unità. «E’ un primo passo verso quella trasparenza che abbiamo tanto invocato – commenta Giacomo Carpignano, presidente dell’associazione di tartufai liberi cercatori – Ogni anno paghiamo 140 euro per il rinnovo del tesserino di cercatore ma non sappiamo mai come vengano spesi dalla Regione. Adesso almeno, per ogni Comune sapremo quante piante da tartufo ci sono. Andarle a trovare tocca a noi ed è il bello di questo hobby».

Ma non è l’unica novità annunciata dalla Regione. Sempre in tema di liberi cercatori e di consorzisti e riservisti, l’assessore ha promesso che verranno istituite delle squadre formate da guardie che andranno a controllare che riserve e consorzi siano in regola con i requisiti richiesti e che, al contrario, i proprietari di piante da tartufo per la libera cerca mantengano il libero accesso a tutti, senza chiudere o recintare i terreni.
Per l’associazione guidata da Carpignano, vanno tutelati i trifulau che lo fanno per passione e non per mero business e questa tutela passa attraverso un “allargamento” delle zone di libera cerca rispetto a quella dei consorzi e delle riserve chiuse a chi non è socio.

«In Piemonte, l’Astigiano è la terra a maggiore vocazione tartufigena, con la maggior presenza di tartufai e la maggior densità di produzione di tartufi – sottolinea Carpignano – per questo servono regole precise e decisioni eque». Un libero cercatore ha una media di meno di una pianta a testa per trovare tartufi, mentre i riservisti hanno una media di cinque piante. «Allora si faccia in modo che anche loro paghino in proporzione alle probabilità di trovare tartufi, quindi molto più di noi liberi cercatori».

A mettersi di traverso però, arriva anche l’Europa che sta per varare una direttiva che equipara il tartufo ad un prodotto agricolo. «Una definizione che metterà tutti i liberi cercatori in una posizione di irregolarità – spiega Carpignano – perchè visto che noi andiamo a cercare i tartufi sui terreni non di proprietà, ogni volta che ne troviamo uno e ce lo portiamo a casa è come se commettessimo un furto. Vogliamo assolutamente modificare questa normativa. Se vogliono fare questa equiparazione per il tartufo nero, a noi va benissimo, in fondo il nero si può coltivare e quindi per quanto ci riguarda può essere considerato un prodotto agricolo da commercializzare al pari di pomodori e insalate. Ma quello bianco no, non si può coltivare e si può trovare e raccogliere solo cercando di pianta in pianta, di terreno in terreno. E’ una rarità e come tale deve essere trattato. Anche dalla legge europea».

Per discutere di questa proposta che sta passando al vaglio della Commissione europea è stata indetta una riunione venerdì 12 giugno alle 21 al bar Manhattan di corso Torino 195 ad Asti alla quale sono tutti invitati.

Daniela Peira

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