Sabato pomeriggio. Sull’autobus della Ama, l’azienda dei servizi pubblici che offre il passaggio gratuito nel weekend, un ragazzo allegramente frastornato attacca bottone con tre alpini. «Da
Sabato pomeriggio. Sull’autobus della Ama, l’azienda dei servizi pubblici che offre il passaggio gratuito nel weekend, un ragazzo allegramente frastornato attacca bottone con tre alpini. «Da dove venite?». «Da Asti, Piemonte». Al giovane squilla il cellulare. «Papà, mi dai il permesso di rimanere in centro stasera? Sai, ci sono tantissimi alpini, è bellissimo». Poi, rivolto alle tre penne nere, esprime quel che oltre 70 mila aquilani pensano da giorni: «Grazie a voi questa città è tornata a fare festa, a vedere gente: è da sei anni che non vediamo nessuno». In questa frase è sintetizzato il senso dell’adunata nazionale degli Alpini, l’ottantottesima, che l’Ana ha voluto nel capoluogo abruzzese. Concetto, quello della festa senza paura, espresso in più occasioni dal sindaco Massimo Cialente, che ha aperto le porte de L’Aquila senza reticenze. Un invito alla normalità quello portato dagli oltre 300 mila alpini che, già da giovedì hanno stretto d’assedio l’agglomerato urbano, dalla periferia siano al cuore pulsante.
Un cuore ancor troppo ferito per non destare nelle penne nere, molte delle quali qui avevano lavorato nelle settimane immediatamente successive il terremoto del 2009, un moto di sconforto. E rabbia. «Ciò che abbiamo visto ci rattrista -? hanno ripetuto gli alpini ai cronisti che domenica cercavano di intercettarne l’umore – La spensieratezza e la voglia di fare festa che portiamo all’adunata è venata da un senso di impotenza, quasi di rabbia». Edifici pubblici, scuole, il teatro, chiese, abitazioni infagottate in scheletri di ferro che testimoniano il male di un evento spaventoso, danno il senso di come sia difficile rinascere. «Tornate fra tre anni quando il centro della città sarà ricostruito» dice Cialente alle penne nere. Molti, però, storcono il naso: tre anni sembrano pochi anche per chi è abituato a non mollare mai. Sin qui la cronaca di un dramma che L’Aquila vuole scrollarsi di dosso lasciando il posto alla festa. E festa, vera, è stata. Venerdì, sabato e domenica non c’era più un parcheggio libero, giardini, prati, persino cortili trasformati in tendopoli.
Il centralissimo corso Vittorio Emanuele è apparso subito troppo angusto per ospitare quell’invasione, così come il piazzale del maestoso duomo dedicato a San Bernardino (ricostruito). Mobilitati i comuni del circondario, sino a cento chilometri, che hanno ospitato migliaia di “veci” e “bocia”. La sfilata che, domenica, ha chiuso la tre giorni abruzzese ha lasciato fuori il centro, attestandosi lungo viale della Croce Rossa a ridosso della rocca dalla quale svettavano decine di gru. E’ durata dieci ore. Un serpentone interminabile che ha percorso, ondeggiando, i tre chilometri del percorso tra incessanti scrosci di battimani e di “Viva gli alpini”. Applauditissima la sezione di Asti, guidata dal presidente Adriano Blengio, quando lo speaker ufficiale ha annunciato che nel 2016 l’adunata nazionale sarà proprio nel capoluogo patria del vino. Appuntamento astigiano ricordato, anche, dallo striscione che ha chiuso la parata. “Vi aspettiamo ad Asti il 13-14-15 maggio del 2016” si leggeva, tra tanti “evviva”. Attestati di stima per la loro bravura sono arrivati alla corale Ana Vallebelbo che, venerdì, si è esibita a Pineto (Te) mentre sabato nel concerto al teatro “Ridotto” de L’Aquila.
Giovanni Vassallo