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Attualità

Alzheimer e falsi miti
Necessario cambiare atteggiamento

Intorno alla malattia di Alzheimer circolano troppi interrogativi e falsi miti che contribuiscono a peggiorare l’emarginazione dei pazienti che ne sono affetti e in parte anche i loro familiari.

Intorno alla malattia di Alzheimer circolano troppi interrogativi e falsi miti che contribuiscono a peggiorare l’emarginazione dei pazienti che ne sono affetti e in parte anche i loro familiari. Partendo da questo presupposto l’aNTEAS (Associazione nazionale tutte le età attive per la solidarietà), in collaborazione con Associazione Alzheimer, conosciuta ad Asti per le numerose attività svolte a sostegno dei malati e dei familiari, e con Fnp Cisl, ha promosso un incontro pubblico con il dr. Marcello Francesconi, coordinatore dell’unità valutativa Alzheimer dell’Asl di Asti presso l’Aula Magna del Polo Uni-Astiss. «È necessario un cambiamento culturale e una maggiore conoscenza della patologia che non deve essere demonizzata – ha esordito il dottor Francesconi – Per questo è fondamentale dare risposte agli interrogativi più frequenti circa la malattia, vale a dire: Il malato di Alzheimer è sempre molto anziano? Scappa? È violento? Va ricoverato in casa di riposo? La malattia si trasmette ai figli? La terapia farmacologica serve?».

L’Alzheimer, ha spiegato Francesconi, è una malattia degenerativa con tempi di progressione che variano dai 3 ai 15 anni, sono ereditarie solo rarissime forme genetiche, colpisce principalmente la fascia anziana della popolazione (il 45% dei malati ha 90 anni), ma non è necessariamente legato all’invecchiamento.
Non bisogna confondere la perdita di memoria legata all’avanzare dell’età, da considerarsi quasi naturale, ai sintomi propri dell’Alzheimer che, con il progredire della patologia, comporta, tra le altre cose, la perdita della memoria a breve termine, con conseguenze gravi sulle capacità di orientamento e di comunicazione, fino ad arrivare alla necessità di essere aiutati nelle più basilari azioni quotidiani come vestirsi e mangiare.

La terapia farmacologica dà una risposta positiva, con un rallentamento nella progressione della malattia di 6-9 mesi, solo nel 20-25% dei casi. A fronte di ciò, è possibile migliorare la qualità della vita del paziente, garantendogli un ambiente a lui consono sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista relazionale. Il paziente con reazioni violente o che scappa è sintomatico di un profondo malessere che non è più in grado di gestire e che può essere causato da diversi fattori quali la presenza di patologie concomitanti, rumori o luci troppo forti o fastidiose, comportamenti bruschi o rimproveri da parte di chi lo assiste. «La soglia di stress e la capacità di rispondere positivamente a un disturbo di qualsiasi genere va annullandosi con il progredire della patologia: è come se il malato di Alzheimer regredisse a uno stadio infantile per il quale anche un rumore assordante o un mal di pancia diventano insopportabili e per “liberarsene” si allontana, scappa, o reagisce in maniera eccessiva e brusca» ha spiegato Malandrone. Infine, è da considerarsi determinante sia nella prevenzione della demenza senile sia nell’evoluzione della patologia, uno stile di vita sano dal punto di vista nutrizionale, fisico, intellettivo e relazionale.

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