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Attualità

Anche nell'Astigiano controlli
sulla radioattività dei cinghiali

I primi ad essere controllati saranno i capi abbattuti in quota, ovvero quelli che ci verranno portati dalla Langa AstigianaPer ora nessuna limitazione alla caccia nè al consumo della carne di cinghiale. Smentite le analisi su altri animali e prodotti del sottobosco

Partiranno la prossima settimana i controlli sulla radioattività dei cinghiali astigiani da parte dell’Istituto Zooprofilattico interregionale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Lo stesso che, nei giorni scorsi, ha già registrato la presenza di Cesio 137 in quantità fino a dieci volte più alta della soglia massima consentita dalla legge negli ungulati del Verbano-Cusio-Ossola. Il dito è stato subito puntato contro la centrale di Chernobyl; già 27 anni fa, a pochi giorni dalla contaminazione seguita allo scoppio del reattore, la Valsesia è risultata fra le zone alpine più colpite dagli effetti deleteri. Un centinaio i capi abbattuti e passati all’esame dei tecnici di laboratorio e nuovi campioni stanno arrivando in questi giorni per affinare lo studio su questo fenomeno. La provincia di Asti sarà la prossima a passare al setaccio i cinghiali abbattuti. A confermarlo il dottor Fulvio Brusa, ex assessore provinciale e responsabile delle sedi piemontesi dell’Istituto Zooprofilattico.

«I primi ad essere controllati -ha detto- saranno i capi abbattuti in quota, ovvero quelli che ci verranno portati dalla Langa Astigiana e dalle colline più alte del nord astigiano. Questo perchè, dalle prime analisi dei dati della Valsesia, sembra che i cinghiali che vivono in pianura non presentino valori alti di radioattività mentre quelli che vivono più in alto sì». Il lavoro di analisi (sono state acquistate delle nuove strumentazioni apposite e ogni esame costerà fra i 10 e i 15 euro) si avvarrà di un flusso già attivato di campioni dei cinghiali abbattuti. Già oggi, infatti, tutti i cacciatori che uccidano un ungulato, sono tenuti ad inviare ai laboratori, tramite il Servizio Veterinario dell’Asl, piccoli campioni prelevati dalla lingua o dal diaframma dell’animale. Questo rientra nel programma di prevenzione alla diffusione della “trichinella”, una malattia che si può trasmettere dal cinghiale all’uomo e colpire pesantemente quest’ultimo al sistema neurologico.

Gli stessi campioni (che, per onor di cronaca non hanno mai registrato un caso positivo) sono validi per effettuare anche l’esame sulla radioattività dell’animale. Per ora, dunque, nessuna limitazione alla caccia nè al consumo della carne di cinghiale viste anche le rassicurazioni sull’assenza di rischi per la salute anche se, ovviamente, in via prudenziale le persone non hanno intenzione di mangiare un cibo potenzialmente radioattivo. Smentite le analisi su altri animali e prodotti del sottobosco: per i caprioli la campagna di contenimento dei circa 200 capi da abbattere, si chiude giovedì, quindi non ha senso iniziare i controlli come pure capita per funghi e tartufi che non sono più prodotti di stagione.

Si era parlato anche di mirtilli e frutti di bosco, ma la provincia di Asti ne registra limitatissime produzioni. «Qualcuno ci chiede se i livelli di contaminazione sono aumentati o diminuiti negli ultimi anni -spiega ancora il dottor Brusa- ma la verità è che non sono mai stati fatti controlli sulla radioattività dell’avifauna selvatica, quindi non si hanno dati storici sui quali lavorare. E’ una novità anche per noi». E allora come si è scoperto che i cinghiali della Valsesia erano contaminati? «Semplicemente perchè l’Unione Europea ha inviato una circolare in cui si “raccomandava” questo tipo di controlli. E noi li abbiamo fatti arrivando a queste conclusioni» conclude il dottor Brusa.

Daniela Peira

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