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Ferruccio Nicoletta Sarasino
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Asti e l’eredità di Ferruccio, il “re delle torri”

A tre mesi dalla sua scomparsa, la figlia rende omaggio al passatempo del padre che, dopo una vita da film, ha dimostrato il suo amore per Asti riproducendo fedelmente in scala le sue torri

Una vita da film e due mani in grado di costruire qualunque cosa.
Oltre all’amore per la città di Asti, seppur d’adozione, essendo lui torinese di origine.
Questa in estrema sintesi la descrizione di Ferruccio Sarasino, classe 1931, mancato meno di tre mesi fa.
Lasciando un’eredità che è anche un omaggio ai simboli della città di Asti: le sue torri.
«Mio padre era di quella generazione che non sapeva stare con le mani in mano – racconta con affetto la figlia Nicoletta – Così quando ha finalmente smesso di lavorare, si è trovato un’occupazione che mettesse insieme il suo amore per l’arte, la sua cultura alimentata dalla lettura di libri di ogni genere e la sua straordinaria manualità».
Uomo che sapeva lavorare alla perfezione legno e ferro, ha cominciato a riprodurre le più note torri astigiane.
Con metodo scientifico. «Per ogni torre che voleva realizzare andava in Comune, si faceva dare misure e planimetrie e la riproduceva in scala».
Hanno preso così vita la Torre Troyana (la prima realizzata da Sarasino) e poi la torre Guttuari, Roero, De Regibus, Solaro, Torre Rossa, quella di via Natta, quella della Cattedrale. E poi quella di Isola Villa e il Campanon di Nizza Monferrato.
«Tutte realizzate in legno massello, con il rispetto maniacale delle proporzioni e, dove era necessario, con le finestre in vetro vero, anche piombato».
Una collezione interrotta meno di un anno fa dal decadimento fisico del suo autore e che oggi è conservata nella tavernetta della figlia Nicoletta. Le sue torri sono state portate in una sfilata del Palio per il rione Tanaro.
Sarasino ha anche riprodotto fedelmente la Collegiata di San Secondo, il palazzo Medici, il castello di Costigliole, il rifugio Valasco di Valdieri dove andava alle terme e la cattedrale di Mogadiscio, capitale della Somalia.
Un luogo che lui conosceva bene, perchè lì, subito dopo la seconda guerra mondiale, aveva aperto una fiorente conceria di pelli. Lì aveva portato a vivere la moglie Franca Quaglia, originaria di Antignano e da lì erano fuggiti durante sommosse politiche del 1970.
Aveva perso tutto e, tornato in Italia, ha ricominciato da capo lavorando prima alla Gerbi Compensati, poi alla ferramenta Nosenzo. Con la moglie e le figlie Nicoletta e Giuliana aveva aperto la gelateria L’Oasi del Gelato di corso Volta, imparando sui manuali a fare il gelato. Poi il passaggio alla latteria 900 di piazza Dante. Si fermò quando le sue donne di casa lasciarono la latteria per un negozio di scarpe di cui lui, però, era l’indiscusso e e valentissimo consulente di pellami.

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