Per chi vive in una provincia benedetta dalla razza fassona piemontese come la nostra, è normale entrare dal macellaio e acquistare tagli di alta qualità. Ma come sta davvero il mondo della zootecnica locale?
Lo chiediamo ad Amedeo Cerutti, vice presidente di Cia Alessandria-Asti, allevatore di Montiglio Montiglio Monferrato. E’ stato uno dei relatori del convegno che si è tenuto sabato scorso a Tonco proprio sul futuro del bovino da carne. Con lui, sul palco, la presidente Cia Daniela Ferrando, Carlo Angelo Sgoifo Rossi docente di Medicina Veterinaria dlel’Università di Milano, Mauro Saracco veterinario dell’Asl di Alessandria e Gianmichele Passarini vicepresidente nazionale Cia.
Vicepresidente Cerutti, una delle accuse più ricorrenti al mondo dell’allevamento bovino è quello sul suo peso nell’inquinamento atmosferico a causa delle emissioni gassone degli animali. Come replicate?
Facendo una approfondita analisi “al contrario”. Mi spiego. Proviamo a pensare a cosa succederebbe se la zootecnia scomparisse.
Quale orizzonte si profilerebbe?
Senza zootecnia scomparirebbe la tanto invocata agricoltura sostenibile. E’ il letame dei bovini il miglior concime e stabilizzatore del terreno. Contribuendo, tra l’altro, a mantenere una struttura che regge alla siccità e al dilavamento in occasione dei nubifragi sempre più violenti.
E poi?
Senza zootecnia scomparirebbero i pascoli che contribuiscono a tenere pulite che altrimenti finirebbero a gerbido in quanto irraggiungibili dai normali mezzi di lavoro e maggiori pascoli contrastano l’allargamento degli incolti in cui prospera la fauna selvatica.
Sul fronte economico?
A parte il reddito degli allevatori (sempre meno, in verità), molte specialità gastronomiche piemontesi che tanti turisti attirano, non potrebbero più essere servite “in purezza”. Penso agli arrosti, al fritto misto, al bollito, alla carne all’albese, alla battuta, ai ripieni di agnolotti ma anche ai formaggi tipici, al burro. Tutto arriva dai bovini. E questo lo sa bene anche l’agroindustria che lavora e commercia prodotti di carne e latticini.
Quindi, per concludere, colpevolizzare la zootecnica è ingiusto e superficiale.
Come si chiudono i bilanci degli allevatori astigiani e alessandrini?
Con fatica. La razza bovina piemontese ha subito un colpo notevole prima con il Covid e poi, nel 2023 e 2024 con l’impennata dei prezzi dei costi energetici e delle materie prime post guerra in Ucraina.
Ci dà qualche numero per capire meglio?
In Italia si conta il 62% di allevamenti in meno. Vero che quelli rimasti sono più grandi ma non hanno assorbito le perdite di capi. In pochissimo tempo i vitelli svezzati che vengono allevati per la vendita sono passati da 1200 a 1800 euro al capo. Risultato? Nel solo Astigiano abbiamo perso in due anni oltre 700 fattrici di razza piemontese.
Ma il prezzo della carne è aumentato.
Vero. E’ passato dai 4 euro al chilo (riconosciuti all’allevatore) che era un prezzo fermo da 20 anni, agli attuali 5,60 euro. Ma sono ancora troppo pochi e, soprattutto, non è un aumento dettato dal riconoscimento della qualità del prodotto e del lavoro dell’allevatore, ma solo perchè essendoci meno capi, aumenta il prezzo. Non è una situazione stabile e gli allevatori non si fidano a fare nuovi investimenti.
L’allevatore è un lavoro per giovani?
Assolutamente no. Ed è un peccato. Oggi abbiamo giovani molto formati e preparati dalle scuole agrarie che non hanno la possibilità di mettere su gli allevamenti. O se lo ritrovano per “eredità” da una famiglia di allevatori, oppure vanno a fare altro. Perchè, per un giovane, fra macchinari, stalle, bovini, meccanizzazione e terreni serve un investimento iniziale di 1 milione e mezzo di euro per un allevamento medio piccolo. Senza contare la burocrazia che snerva chiunque. Basta questa cifra per chiudere il discorso.