L’ultima volta che è tornato nella sua casa di Revigliasco dove ad aspettarlo ci sono la moglie Anselma e sua madre, era stato a Natale del 2019. Poi il Covid lo ha tenuto lontano da casa per 14 mesi consecutivi, a 7 mila chilometri di distanza, isolato in un piccolo appartamento in un grattacielo dove, per 4 mesi, ha avuto per unica compagnia una gatta.
Solo da dieci giorni lo chef Roberto Boggio ha fatto ritorno nell’Astigiano, dopo la quarantena obbligatoria e dalla terrazza che domina la piazza del paese ha preso una decisione importante: non lascerà più la sua famiglia nè l’Italia. La brigata dello Sheraton Hotel di Pune, India, dovrà fare a meno del suo executive chef. E non è ancora pront a farlo, perchè ogni giorno, da Revigliasco, si collega in videochiamata con i suoi chef, fa sistemare il cellulare del comis in un punto panoramico della grande cucina dell’hotel, e dall’accogliente cucina di casa sua continua ad elargire consigli e a controllare che tutti lavorino al meglio.
Perchè in quella cucina c’è molto di Roberto ma anche molto della cucina astigiana.
In carta allo Sheraton di Pune ci sono il bunet e la panna cotta secondo la ricetta della nonna di Roberto ma anche il tiramisù alla sua maniera e gli agnolotti al plin, ovviamente senza carne di maiale per rispettare le regole della religione del posto.
Dopo oltre trent’anni passati nei migliori ristoranti ed hotel di mezza Asia e Arabia, la scelta di Roberto è sofferta.
Negli ultimi anni ha scalato la “gerarchia” della cucina dello Sheraton lavorando prima a Doha, poi a Ramallah, Petra e infine a Pune.
«All’estero ogni avanzamento di carriera è frutto di merito e di lavoro, mai di raccomandazione – sottolinea lo chef – e questo ti mette continuament sotto esame e in discussione. Devi sempre dare il massimo, non puoi mai sentirti arrivato. Ma, di contro, le soddisfazioni e i riconoscimenti sono belli e meritati».
La decisione di lasciare le cucine dorate “five stars” sono un po’ frutto anche di quei quattro mesi di solitudine vissuti in pandemia. «Lì si poteva uscire solo dalle 9 alle 12 del mattino per fare spesa, venivano a fare controlli a sorpresa e guai a non farti trovare. In questi mesi è mancata mia suocera e io non ho potuto essere accanto a mia moglie a causa della doppia quarantena che avrei dovuto fare. Non voglio più rischiare di non poter tornare a casa quando c’è bisogno di me».
A 60 anni, però, si pone un problema lavorativo non indifferente.
«Ho una lunga esperienza nelle migliori cucine estere, sono in grado di tirare giù in mezz’ora un menù internazionale che rispetti i gusti dei clienti e le economie di cucina, ma in Italia questo non conta nulla. Si parla tanto di fuga di cervelli, ma lo stesso discorso vale anche per gli chef. Qui la meritocrazia è un concetto sconosciuto, vale solo il livello conquistato. Per questo motivo all’estero la cucina italiana è sopravvalutata mentre da noi, in patria, è sottovalutata e spesso maltrattata da chi si sente arrivato e smette di curarla»