Una curiosa mostra multisensoriale allestita nella hall dell’ospedale di Asti con sei sgabelli che, anche solo a guardarli, sembrano strumenti di tortura. Di design, certo, ma pur sempre per provocare dolore. Ecco, questo è il cuore dell’iniziativa sposata dal Reparto di Ginecologia ed Ostetricia del Cardinal Massaia per sensibilizzare le migliaia di persone che accedono all’ospedale sul tema del dolore vulvare, patito da molte donne e spesso nascosto o minimizzato ma che provoca sensibili cambiamenti di vita.
Il pubblico è libero di provare a sedersi su uno o su tutti gli sgabelli per provare, almeno per qualche minuto, cosa significhi soffrire di un dolore tale pensando che ci sono donne per le quali questa è una situazione cronica che impedisce loro di socializzare, andare a pranzo o cena con gli amici, andare a teatro o a seguire qualunque cosa che implichi stare seduti a lungo perché per loro il dolore diventa insostenibile dopo qualche minuto.
E se non si crede a medici ed infermieri, allora è sufficiente soffermarsi qualche minuto a leggere, sui pannelli che completano la mostra, le testimonianze di donne che di vulvodinia soffrono: “Il cuscino è come una collana: se mi sposto dall’aperitivo al ristorante me lo metto al collo così non lo sgonfio neanche. Ormai siamo inseparabili”, “La bici l’ho dovuta dimenticare per un sacco di tempo come anche la guida dell’auto o il motorino. Ci sono certi sellini che aiutano, ma qualcuno ha pensato che fossero di design e me li hanno rubati” e poi ancora: “Per pagare tutti gli specialisti ho dovuto chiedere aiuti. Spendo 480 euro al mese fra integratori, medicine e cure ma la mia famiglia non lo sa, mi vergogno”.
La vulvodinia, spiega il primario Maggiorino Barbero, è una malattia di eziologia ancora ignota che si caratterizza per bruciore e dolore alla vulva persistente senza cause cliniche visibili o altri disturbi identificabili. E’ una malattia non riconosciuta dal sistema sanitario nazionale (di qui la spesa per cure specialistiche e integratori) e sono pochissimi i terapeuti in grado di identificarla e trattarla con ritardi diagnostici e alto rischio di cronicizzazione del dolore e della sofferenza.
Una malattia invisibile che però colpisce 1 donna su 7.
Tutto questo silenzio invece va svelato ed è per questo che l’ospedale di Asti ha accolto il percorso artistico scientifico sul dolore vulvare frutto del lavoro di ricerca socio-antropologico di Federica Manfredi presso l’Università di Torino, Dipartimento Culture Politica e Società; il progetto ha Raffaella Ferrero Camoletto come referente scientifico mentre la progettazione e il design è stato ideato da Federica Manfredi e Sofia Rampanelli.
La mostra è completata anche da fazzoletti e stoffe artisticamente manipolati corredati di qr code per ascoltare direttamente le testimonianze non solo delle donne che soffrono di vulvodinia, ma anche dei loro compagni di vita testimoni quotidiani delle limitazioni che il dolore impone alle donne.
(Fotoservizio Ago)