In queste giornate in cui la calura la fa da padrona e i cellulari diventano lo strumento di viaggio da divano, chi avesse voglia di fare una piccola caccia al tesoro fra i negozi in vendita nella città di Asti scoprirebbe che sono tantissimi i locali e le attività, anche storiche, sulla vetrina delle immobiliari locali. Una quantità inimmaginabile di bar, ristoranti di ogni dimensione e posizione ma anche macellerie, negozi di abbigliamento, di elettrodomestici, agenzie di servizi, uffici: una larga fetta di attività commerciali di Asti è sul mercato e i titolari o gestori non vedono l’ora di mollare.
E non si parla di attività in posizioni defilate, magari in periferie diventate dormitorio o con generi merceologici ormai obsoleti: in una ideale mappa cittadina si fa presto a notare che la voglia di vendere ha contagiato soprattutto il centro cittadino, quello considerato il “salotto” buono con una lunga e gloriosa tradizione commerciale. E, ancora, riguarda esclusivamente negozi e locali di piccole-medie metrature gestiti da famiglie o singoli titolari.
La conclusione è scontata: quella desertificazione commerciale del centro cittadino dove a farne le spese sono i negozi tradizionali.
Parola ai commercianti
La cosa che balza agli occhi è che la maggior parte di locali e negozi in vendita sono ancora aperti e gestiti dagli stessi titolari che vogliono disfarsene. «Perché al giorno di oggi costa anche chiudere un’attività commerciale. E molto» è la spiegazione di uno di loro che non consente alla pubblicazione del nome. Un po’ come tutti gli altri che sono stati intervistati perché temono che, spiegando le ragioni che li hanno portati a chiudere, nessuno più voglia comprare le loro attività.
«Molti hanno fatto, negli anni passati, l’investimento dell’acquisto dei muri e devono finire di pagare i mutui. O anche solo banalmente devono arrivare a fine contratto di affitto con i padroni dei locali per non pagare penali». Ma non è solo una questione di location. «Visto che arriviamo da tanti anni di crisi – prosegue il commerciante – molti di noi hanno contratto prestiti o rateizzazioni per le tasse e gli oneri previdenziali oppure ancora comprano dai fornitori a debito e devono vendere gli articoli per poterli pagare. Tutto questo costringe a tenere aperto per far girare i soldi e far fronte agli impegni. Nella speranza che qualcuno voglia rilevare il negozio o il locale e con quello che si prende, si salvano di debiti».
I “super” concorrenti
Ma perché così tanta voglia di chiudere? «Perché il mondo del commercio è totalmente cambiato e i piccoli non riescono più a sopravvivere: prima solo i centri commerciali, poi si sono aggiunte le vendite on line con prezzi per noi impossibili. Così i clienti entrano nei nostri negozi belli arredati, illuminati, puliti, ordinati, provano scarpe, vestiti, borse, gioielli, accessori e poi vanno a comprare gli stessi articoli on line. Ci hanno detto che è un fenomeno commerciale che non si può fermare e noi non possiamo fare altro che chiudere».
Anche la ztl gioca contro
Una concorrenza che viene a incalzarli anche in centro città.
«Vede quel furgoncino lì sul marciapiede? E’ uno di quelli di un grosso supermercato autorizzato ad entrare nell’isola pedonale per fare le consegne a domicilio, come i vari corrieri. I miei clienti devono parcheggiare distante dal mio negozio, pagare le strisce blu e attraversare il centro per venire a comprare da me. Questi invece possono portare tutto sul pianerottolo di casa. Non è forse concorrenza sleale anche questa?».
I conti in tasca
Altro fronte è quello della pressione fiscale e dei costi.
«Ancora in troppi si immaginano che i commercianti guadagnano tanto perché pagano poco le tasse» ci dice un commerciante del centro che apre la sua agenda dove ha ordinatamente segnato tutte le spese sostenute. «Guarda qua: fra manutenzione del registratore di cassa, la parcella del commercialista, le bollette della luce, le spese condominiali, quelle del telefono con la fibra per il collegamento diretto con l’Agenzia delle Entrate, i rifiuti, l’iscrizione alla Camera di Commercio, le rate Inps arriviamo a 2 mila euro al mese. E i muri del negozio sono miei, non pago l’affitto. Poi, si deve aggiungere il versamento dell’Iva e, a fine anno, il pagamento del 70% di tasse. Qui ci sono giorni che entrano due o tre persone e mi lasciano sì e no 100 euro di spesa. I conti son presto fatti».
Il commercio non è cosa per giovani
Ci sono ragioni però anche più profonde che toccano la vita personale dei commercianti.
«Noi piccoli non possiamo contare su tanti dipendenti, a volte non possiamo permettercene neppure uno. Questo significa che si passa la propria vita in negozio e se si ha un bar o ristorante, è ancora peggio. E’ una vita molto difficile e dopo tanti anni di giornate passate fuori casa dal mattino presto alla sera tardi, siamo logorati. E non possiamo pensare di passare i locali ai figli perché avendo visto la vita che abbiamo fatto noi, scelgono strade diverseo. Un’attività come la nostra, un bar, deve per forza essere tenuta da persone giovani perché è impegnativo anche fisicamente. Qualche ragazzo si è pure affacciato per rilevarlo, ma non possono avere la forza economica di comprare e le banche non danno loro alcun credito. Se le loro famiglie sono in grado di farlo, sconsigliano fortemente i figli di investire nel piccolo commercio. E così il ricambio generazionale va a rotoli».