E’ la vista che “frega” la mente e a farne le spese è una corretta raccolta differenziata dei rifiuti.
Tanto da spingere Gaia spa, la società che gestisce gli impianti di smaltimento dei rifiuti astigiani, in collaborazione con il Consorzio Biorepack ad avviare una massiccia campagna per spiegare bene dove vanno conferiti.
Parliamo delle cosiddette bioplastiche, quelle che in apparenza assomigliano in tutto e per tutto alle plastiche tradizionali ma in realtà sono completamente compostabili come qualunque altro rifiuto organico che viene conferito nell’umido.
Ma la resistenza degli utenti è ancora fortissima, perchè anni di educazione alla raccolta differenziata pongono un freno psicologico al buttare piatti, posate, bicchieri, sacchetti, borsine che sembrano plastica nel bidone dell’umido.
Invece è proprio lì che devono finire, perchè sono realizzati in un materiale che è nato appositamente per fare quella “fine”.
Mentre le altre “frazioni” della differenziata (plastica tradizionale, carta, ferro, organico) erano già presenti e il lavoro fatto è stato quello di individuare procedure di riciclo, le bioplastiche sono frutto di ricerche ed esperimenti per la creazione dal nulla di un materiale che abbia l’apparenza e gran parte delle funzionalità della plastica ma una composizione organica, quindi del tutto biodegradabile per limitare l’inquinamento del pianeta.
Ma quando siamo di fronte alla bioplastica e quando invece ad un materiale non compostabile?
Intanto, spiegano da Gaia, non bisogna confondere biodegradabile con compostabile: se non è espressamente indicata la seconda caratteristica, i rifiuti non è detto che possano finire nell’umido.
Sull’acquisto di materiale confezionato (stoviglie, vaschette, capsule del caffè) bisogna fare molta attenzione all’etichetta e alla presenza sull’involucro esterno di uno dei tre simboli riportati nelle foto accanto all’articolo. Se è presente uno dei tre oppure una dicitura ben chiara che parla di compostabilità, allora il consumatore, dopo l’uso, deve mettere quel materiale nell’organico e avviarlo al compostaggio.
In assenza dei marchi e di scritte chiare, meglio conferirlo nell’indifferenziato.
Molti, nel dubbio, mettono questi materiali di bioplastica nel sacchetto della plastica tradizionale. Grazie all’avanzato impianto di selezione della plastica di Gaia a Valterza, la plastica compostabile viene individuata e finisce negli scarti destinati al termovalorizzatore o al trattamento biomeccanico e portata in discarica. Quindi tutti gli sforzi fatti finora per produrre una plastica che non danneggi il pianeta viene vanificata.
La bioplastica (spesso conosciuta con il marchio commerciale di mater-bi) si dissolve completamente negli impianti di compostaggio nell’arco di 90 giorni e va a contribuire alla creazione del compost certificato di Gaia. Tutto l’umido raccolto (circa 90 mila tonnellate nel 2024) si trasforma in compost distribuito in agricoltura (11 mila tonnellate, sempre nel 2024) e in produzione di biometano immesso in rete.
Quello che gli utenti devono sapere ancora è che le bioplastiche vanno trattate nel loro procedimento di compostabilità quindi nelle compostiere domestiche faticano a biodegradarsi.
Il progetto è partito in questi giorni con un incontro con i sindaci dei comuni in occasione dell’Assemblea degli azionisti di GAIA e proseguirà nei prossimi mesi con 20 punti informativi nei mercati e nei luoghi pubblici; 10 serate pubbliche aperte alla cittadinanza; incontri con le associazioni di categoria e analisi merceologiche. Ai Centri estivi e alle scuole secondarie di primo e secondo grado è anche proposto un concorso creativo.