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Asti Pride: «L’inclusione non può essere solo un’opzione»

La figlia di Roberto Vecchioni, Francesca, mamma omosessuale di due gemelline, parla di diritti, inclusione, cultura e invita tutti gli astigiani a partecipare al Pride di sabato

Sabato la manifestazione della comunità LGBTQI

Meno di una settimana e Asti avrà il suo primo Pride. Sabato pomeriggio, 6 luglio, alle 16 ci sarà il ritrovo dei partecipanti alla sfilata che si snoderà da piazza del Palio a piazza San Giuseppe passando per corso Einaudi, piazza Alfieri, corso Alfieri, piazza Roma e via Roero. Un Pride organizzato da CGIL Nuovi Diritti, dall’Associazione Love is Love – Arcigay Asti e dal Comitato ARCI e che ha ottenuto il patrocinio del Comune per volere del sindaco Rasero e della maggior parte degli assessori. Ad Asti si aspettano tra le 4.000 e le 5.000 persone per un evento che vuole essere inclusivo e aperto a tutti, comprese le famiglie “tradizionali” sempre più numerose ai vari Pride organizzati in tutto il mondo. Il Pride (letteralmente “orgoglio”) ha da tempo abbandonato l’indicazione “Gay” come unico aggettivo dell’evento, per allargarsi all’intera comunità LGBTQI, ma più in generale è diventato un giorno nel quale si rivendicano diritti negati per se stessi o per gli altri nell’ottica di dare seguito all’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Francesca Vecchioni spiega i motivi del Pride

Ma cosa succederà al Pride e come gli astigiani dovrebbero vivere la manifestazione di sabato prossimo? L’abbiamo chiesto ad una testimonial d’eccezione, Francesca Vecchioni, figlia del cantautore Roberto Vecchioni. Francesca nel 2012 ha dichiarato pubblicamente la propria omosessualità, ha parlato della relazione con un’altra donna con la quale ha poi deciso di diventare mamma di due gemelle concepite con la fecondazione assistita. Francesca si occupa di marketing e, tra gli altri progetti, ha creato i Diversity Media Awards per premiare i personaggi e i contenuti media che hanno contribuito a una rappresentazione valorizzante della diversità nelle aree genere e identità di genere, orientamento sessuale e affettivo, etnia, età e generazioni, (dis)abilità.
«Iniziamo subito col dire – spiega Vecchioni – che i diritti non hanno partito e il Pride è un momento per dimostrare agli altri, ma anche a se stessi, che l’inclusione non può essere un’opzione perché se fosse così potrebbe capitare, prima o poi, anche a noi di essere esclusi. Tu, quindi, puoi batterti per l’inclusione di te stesso o per le persone a te care ed è anche per questo che al Pride dovrebbero andarci tutti, non solo i gay o chi si identifica nella comunità LGBT».
Pride sì, Pride no: gli astigiani sono divisi e, specie nei giorni scorsi, su internet sono volati insulti pesanti, ingiurie e affermazioni omofobe contro l’evento di sabato e contro gli organizzatori. Perché il Pride fa così paura? «Conoscere significa abbattere la paura, ma credo che parte del discorso giri intorno alla parola “privilegi” – continua Francesca – Se tu allarghi i diritti togli privilegi a qualcuno, ma onestamente, da madre, mi farebbe più paura che a scuola, con le mie figlie, ci fosse un bambino che non avesse gli stessi loro diritti».

«Non è solo un discorso di sesso»

Ad Asti sempre più associazioni hanno detto di voler sostenere il Pride come momento di rivendicazione dei diritti, poi ci sono molti astigiani, forse i più, che attendono di vedere cosa succederà alla parata e altri che dicono «di non avere nulla contro i gay, basta che non lo ostentino». Si può essere se stessi solo in alcuni luoghi e non in altri? E quali sono i limiti “morali” dell’essere se stessi?
«Non ho nulla contro i gay – osserva Vecchioni – basta che lo facciano in casa loro, basta che non lo ostentino. In effetti si sente spesso questa frase, ma io inviterei tutti a cambiare gli addendi per vedere se cambia il risultato. Gli etero stanno ostentando qualcosa se si danno la mano per strada? Quando qualcuno dice “lo facciano a casa loro” parlano solo del sesso, ma la relazione di coppia è un fatto sociale ed è chiaro che non riguarda solo la sessualità».
Da qui i pregiudizi contro chi fa parte della comunità LGBTQI, convinzioni viziate da una visione limita dell’affettività rispetto a tutti gli altri valori che creano le coppie e le tengono unite. Anche per Francesca Vecchioni contrastare questi pregiudizi è possibile partendo dalle scuole e facendo molta autocritica in famiglia. I bambini ascoltano i discorsi dei genitori, osservano i loro atteggiamenti e assorbono, nel bene o nel male, pregiudizi, atteggiamenti discriminatori, omofobi o sessisti. Poi ci sono famiglie aperte, altre chiuse e questo, specie in una città di medie dimensioni, fa la differenza su come vivere la propria omosessualità.

Il coming out di Francesca

Ma quando si è la figlia di Roberto Vecchioni come si vive il coming out? «Ho vissuto con maggiori difficoltà essere figlia di mio padre che essere gay – replica Francesca – Siamo una famiglia che non ha mai trasmesso i privilegi di quel cognome, ma la vera questione è poi l’uso che se ne fa del nome. Per buona parte della mia vita non ho sfruttato questo vantaggio, poi mi sono resa conto che avrei potuto usarlo non per me stessa, ma per una questione più alta e più generale. Così l’ho fatto assumendomene i rischi». Vecchioni parla di inclusione che parte dalla scuola e dalle famiglie, ma che poi si allarga al mondo del lavoro. Lei stessa è ideatrice dei Diversity Media Awards, che monitorano e premiano i media più inclusivi, e del Diversity Brand Summit, che identifica i brand considerati più̀ inclusivi su tutte le aree della “diversity”, e ne misura il valore economico generato sulla base di una ricerca annuale. In sintesi: un’azienda inclusiva, che comunica un brand altrettanto inclusivo, che parla a tutti senza alcun tipo di discriminazione, è un’azienda che arriva a fatturare fino al 70% in più di quelle che non lo fanno. Se l’inclusione è un valore aggiunto, quantificabile, per il business di un’azienda, lo deve essere anche per una città, in primis Asti dove è stato fondato un nodo antidiscriminazione e dove si portano avanti politiche per promuovere il rispetto di tutti i cittadini e l’accoglienza. Questo, alla fine, è anche il messaggio che lancia l’Asti Pride, delle associazioni coinvolte a vario titolo nell’evento e dei cittadini che saranno in piazza sabato pomeriggio.

Svelato il padrino del Pride

Intanto nelle ultime ore è stato ufficializzato il nome del padrino dell’Asti Pride. Si tratta di Carlo Gabardini, scrittore, autore, attore (Camera Café) e speaker radiofonico, già ospite qualche settimana fa al Babel Festival per presentare il suo libro “Churchill – Il vizio della democrazia” (Rizzoli). Gabardini, che ha girato una breve clip di annuncio del Pride di Asti, sarà presente e terrà il discorso conclusivo dell’evento.

https://www.facebook.com/AstiPride2019/videos/434149500760773/

Pillon gonfiato: ad Asti Camusso, Lerner e Cirinnà

Mercoledì 3 luglio, in collaborazione con la CGIL di Asti è in programma l’ultimo evento pre Pride. L’appuntamento “Pillon gonfiato” si svolgerà al Palco 19, alle 17. Si parlerà di laicità dello stato, diritti civili e Pride “ai tempi del senatore Pillon” e saranno presenti Susanna Camusso (ex segretaria nazionale CGIL), Gad Lerner (giornalista e conduttore televisivo) e Monica Cirinnà (senatrice). Seguirà, alle 21, l’evento “Fuori” stand up comedy con Daniele Gattano. Maggiori informazioni sono disponibili sulla pagina Facebook Asti Pride.

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