Cerca
Close this search box.
Spumante batte Champagne, più brindisi astigiani
Attualità
Viticoltura

“Asti” senza Asti: la curiosa incongruenza nel mondo del Moscato

Fa discutere la richiesta del Comune capoluogo di essere inserita nel disciplinare della Docg

Può una città dare il nome ad un vino che vende un centinaio di milioni di bottiglie, al 90% esportate all’estero, ma non rientrare nella zona di produzione delle uve? Succede con le bollicine aromatiche del Moscato, spumante per antonomasia delle feste e non solo (è lo sparkling wine delle Atp finals di tennis e di programmi televisivi di successo): questione annosa, di cui si torna a dibattere in questi giorni, per iniziativa del sindaco di Asti Maurizio Rasero. La richiesta di ammissione di Asti nel territorio della denominazione (poco più di 9 mila ettari divisi in 51 Comuni tra le province di Asti, Cuneo e Alessandria) è stata illustrata all’Assemblea del Consorzio di tutela, primo passaggio di un iter piuttosto complesso e lungo. Gà in passato Asti ci aveva provato, senza successo, e anche stavolta si è alzato un muro di contrarietà.

Che cosa chiede Asti
«Per noi è più una questione simbolica che di sostanza – la tesi sostenuta da Rasero – Siamo il Comune capoluogo, promuoviamo l’Asti in tutte le occasioni e anche all’estero, abbiamo fatto verificare che parte del nostro territorio, una piccola porzione, è idonea alla produzione di Moscato d’Asti: ci sembra quanto meno curioso che Asti non possa far parte del Consorzio».
Le ricerche affidate ad un tecnico hanno individuato in «due frazioni a Sud del Tanaro» (San Marzanotto e Montemarzo) le aree vocate alla produzione di Moscato d’Asti. «Una manciata di ettari, ininfluente sugli oltre 9 mila – precisa Rasero – tra l’altro la produzione di uva moscato per la denominazione Docg Asti nel territorio del Comune di Asti è legata all’iscrizione di ulteriori superfici allo schedario della Docg Asti; ipotesi attuabile solo qualora i viticoltori decidessero di trasferire idoneità di produzione su vigneti in questo territorio». Tradotto: non sarebbe, per quanto limitata, una produzione aggiuntiva ma resterebbe nel massimale autorizzato.

C’è chi dice no
Tra i primi a prendere posizione la Cia: «Non c’è al momento nessuna necessità di allargare l’area di origine del Moscato d’Asti – spiega il presidente regionale Gabriele Carenini – perché non lo richiede il mercato e si rischia di creare un precedente dalle conseguenze difficilmente controllabili». Stessa posizione per il segretario della Lega di Castagnole Lanze Andrea Fassino.
Attendista la posizione di Asti Agricoltura: «Solo martedì scorso abbiamo ascoltato, per la prima volta ufficialmente, la proposta del Comune di Asti – spiega il presidente Gabriele Baldi – Avevamo già colto nei giorni precedenti sul territorio una certa ostilità a questa proposta, anche perché c’è stato un cortocircuito comunicativo che non ha creato certamente un clima sereno. A fronte di una proposta definitiva del Comune, se arriverà, sentiremo la nostra base associativa per le conseguenti prese di posizione».

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

Scopri inoltre:

Edizione digitale