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La storia

Astigiano il brevetto mondiale del primo drone agricolo

Nato in un magazzino dell’istituto Penna fra il 1972 e il 1976 da un’idea di quattro amici. Ogni pezzo fu costruito al tornio su misura

Anche i garage astigiani sono il luogo giusto in cui far nascere idee geniali. Senza scomodare Bill Gates o Mark Zuckerberg, nel loro piccolo un manipolo di visionari astigiani ha brevettato un prototipo di drone radiocomandato studiato per l’irrorazione dei vigneti quando questo tipo di tecnologia era quasi esclusivamente ad appannaggio del settore militare per altri scopi.

Una storia di amicizia, di grandi competenze professionali, di artigianalità nell’invenzione e nella costruzione a mano di ogni singolo componente. E di fiducia di un preside che, libero dai lacci burocratici di oggi, ha messo a disposizione il garage della sua scuola per ospitare gli autori di quel progetto assolutamente visionario per l’epoca.

L’anno è il 1972 quando il professore di enologia e viticoltura Fiorenzo Gatti, insieme al fratello Luigi, all’amico imprenditore agricolo Luigi Coppo Borgo e ad un altro amico, l’ingegner Ugo Nebbia, si sono soffermati ad osservare un elicottero che irrorava i vigneti a Castagnole Monferrato, di proprietà di Coppo. All’epoca in paese esisteva un eliconsorzio che metteva a disposizione i mezzi per i trattamenti aerei i quali presentavano già diversi problemi: l’alto costo orario, le frequenti “contaminazioni” di campi, prati e orti confinanti con i vigneti trattati e un’efficacia delle irrorazioni in parte vanificata dalla dispersione dovuta all’altezza di volo dell’elicottero.
Quel giorno, fra i quattro amici, germinò l’idea di un elicottero radiocomandato.

 

Nebbia, pur abitando a Torino, aveva molti legami con Castagnole Monferrato e trovò nell’allora preside dell’Istituto Penna, Giacinto Occhionero, un meraviglioso “complice”. Il professor Occhionero gli mise a disposizione un magazzino della scuola in cui venne allestita un’officina per la costruzione di tutti i pezzi necessari all’antesignano del moderno drone. Ma non si fermò a quello: gli mise a disposizione anche alcuni locali adiacenti in cui l’ingegner Nebbia poteva passare le notti per non perdere tempo.

«Fu un’avventura fantastica – ricorda ancora perfettamente il professor Fiorenzo Gatti – costruimmo a mano ogni pezzo dell’elicottero acquistando all’estero solo la strumentazione radio e una particolare lamiera di copertura della meccanica. Ad un falegname della zona ordinammo le pale in legno di noce. Tutte le spese vennero sostenute da noi».

Dopo quattro anni di lavoro, prese forma il primo modello OBNG2, dalle iniziali degli uomini che lo crearono: Occhionero, Borgo Coppo, Nebbia e Gatti Fiorenzo e Luigi.

Cosa è mancato per fare di quel “giocattolo” un avanzato strumento di agricoltura di precisione?

«Le assicurazioni non ci vollero mai coprire gli eventuali rischi di incidenti – ricorda Gatti – E per questo motivo noi non potemmo mai provarlo “libero”, ma sempre ancorato ad un cavo. Ora forse sembra tutto più semplice, ma all’epoca un bestione di 3 quintali e mezzo manovrato solo attraverso un radiocomando poneva dei forti rischi. Poteva sfuggire ai comandi e andarsi a schiantare contro cose, case, persone, automobili facendo dei danni molto gravi, tenendo conto che aveva a bordo un motore e un serbatoio di carburante che poteva esplodere durante una collisione».

Fino a tre mesi fa il drone completo in ogni sua parte è stato custodito da Fiorenzo Gatti, nella sua casa di Castagnole Monferrato. Poi l’idea di donarlo all’Istituto Penna, sua sede “naturale” dove si trova ora.

 

Volava basso, prendeva 4 filari per volta e irrorava le piante anche da sotto

«Un prototipo dotato di 4 rotori, una vera novità per l’epoca – spiega il professor Gatti – Due anteriori per sostenere il drone in volo e due posteriori per determinarne la direzione e la manovrabilità. Era dotato di due serbatoi da 40 litri per contenere il liquido da irrorare e aveva un’autonomia che copriva circa un ettaro di vigneto con un pieno che alimentava un motore a 2 tempi “prestato” da un fuoribordo marino adattato. Pesava circa 3 quintali e mezzo e aveva un’apertura complessiva con le barre di irrorazione di 5,40 metri. Irrorava 4 filari per volta e quando arrivava al fondo della vigna non aveva bisogno di girarsi, ma poteva riprendere il suo lavoro semplicemente spostandosi sui successivi 4 filari e inclinandosi al contrario rispetto all’andata».

Fra i vantaggi il fatto che, alla lunga, costasse meno dei trattamenti con gli elicotteri, che l’agricoltore aveva piena autonomia di scegliere il momento in cui utilizzarlo tenendo conto delle condizioni atmosferiche e dello stato della vigna e che la sua efficacia era maggiore in quanto, potendo volare molto più basso degli elicotteri, non disperdeva il liquido irrorato e le correnti al suolo provocate dalla rotazione delle pale consentivano anche l’irrorazione sotto le foglie, raddoppiando i benefici del trattamento.
Alcuni sensori a terra consentivano di farlo muovere solo nel perimetro predestinato e un sistema a bordo manteneva costante l’altezza dal suolo.

 

Fu portato alla fiera di Verona e suscitò l’interesse di Fiat e Agusta

Nel 1976 il prototipo OBNG2 venne brevettato presso la società Iacobacci Casetta che verificò come non esistesse nulla di simile al mondo.

I suoi ideatori lo presentarono alla fiera di Verona del 1984 suscitando grandissimo interesse.

«Fummo contattati dalla Fiat e dalla Agusta Bell – ricorda ancora Gatti – all’epoca colossi delle meccanizzazione agricola ma non riuscimmo a sviluppare a sufficienza il progetto da poterlo vendere al giusto prezzo».

 

Nella photogallery Billi il professor Fiorenzo Gatti e Luigi Coppo Borgo mostrano il drone da poco tornato nei magazzini dell’istituto Penna.

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