Ha sollevato un coro di contrari la proposta dell’assessore regionale Protopapa che, sull’emergenza cinghiali pensa alla creazione di una filiera della carne di questi ungulati selvatici.
L’assessore propone di trasformare in risorsa il problema dei cinghiali creando un sistema che faccia un efficiente controllo igienico sanitario e qualitativo delle carni con una filiera tracciata di commercializzazione delle carni di selvaggina sul territorio. Arrivando, si legge in una nota stampa, a generare un sistema di economia locale volto a valorizzare una risorsa rinnovabile che trova un grande interesse a livello di ristorazione. E’ tutto contenuto in un progetto di filiera eco-alimentare che prevede anche la formazione specifica del mondo venatorio e quello dei trasformatori alla luce dell’utilizzo della carne di cinghiale.
«Il progetto, infatti, ha come presupposto fondamentale che le carni di selvaggina derivano da animali a vita libera, che si cibano spontaneamente di ciò che la natura offre e che non entrano mai in contatto con situazioni di stress: tale presupposto, collegato inscindibilmente alla qualità intrinseca del prodotto stesso, ha come conseguenza che un’importante parte di formazione sia dedicata all’etica venatoria affinché vengano sempre rispettate le regole di comportamento anche in questa attività molto presente nella nostra regione» si legge ancora in un comunicato diffuso dall’assessore.
«Ci sentiamo offesi dalle parole dell’assessore regionale all’Agricoltura», rileva il presidente di Coldiretti Asti, Marco Reggio. «C’è gente che ha riseminato tre volte, è disperata, non sa come fare, e teme anche per la sua incolumità. Venerdì nel Chierese un bambino in bicicletta è finito in ospedale perché investito dai cinghiali mentre andava a scuola su una strada che percorre da anni. Anche il più intransigente degli animalisti non è preoccupato per lo stress dei cinghiali e capisce che bisogna intervenire drasticamente per fare in modo che non attacchino le persone e non mangino i frutti del lavoro degli agricoltori. La priorità è ridurre la presenza degli animali selvatici sul territorio, bisogna intervenire in modo efficace e determinato».
«In questi anni che l’emergenza cinghiali è cresciuta esponenzialmente – ci spiega Andrea Rabino, agricoltore di Villafranca d’Asti e vice presidente dell’Associazione nazionale allevatori bovini di razza Piemontese – noi agricoltori abbiamo percorso tutte le vie istituzionali cercando soluzioni e accordi per cercare di arginare la situazione, dal recente incontro in Prefettura e dai vari tavoli di lavoro la proposta della filiera era stata ritenuta da quasi tutti un obiettivo a bassa priorità. Invece la notizia dell’assessorato all’Agricoltura sembra ribaltare le carte in tavola. Vogliamo conoscere cosa c’è dietro questa svolta».
«Gli agricoltori non ci stanno a correre il rischio di mantenere i cinghiali per sostenere una filiera di cui fanno volentieri a meno – rincara Franco Serra, agricoltore di Aramengo e vice presidente dell’associazione regionale allevatori, Arap – Fatta così, la proposta di questa filiera ha in sé il rischio che la parte venatoria continui a lavorare per mantenere alte le popolazioni dei cinghiali per poter avere i carnieri sempre ben forniti. Un rischio che gli agricoltori devono e vogliono evitare».
Dura presa di posizione contro le parole di Protopapa arriva anche da Europa Verde che propongono una via alternativa ad un piano massiccio di abbattimenti a cura dei cacciatori.
«I Verdi – Europa Verde, consapevoli dei danni all’agricoltura e del sovrannumero degli ungulati ritengono urgente che venga attivato un programma scientifico e sistematico per il controllo del numero di cinghiali sul territorio piemontese ma sono nettamente contrari a queste forme di controllo selettive violente, inconcludenti e utili soltanto ai “cacciatori cecchini”, condividono invece la proposta alternativa allo sterminio di C.I.A. (Confederazione Italiana Agricoltori) per l’applicazione di metodi contraccettivi come quello ideato dagli americani e sperimentato in Gran Bretagna dalla ricercatrice italiana Giovanna Massei. L’utilizzo di distributori di esche è progettato per evitare che altre specie non destinate ai vaccini se ne cibino. Uno studio dell’ecologia alimentare, basato sull’analisi di oltre 10.000 escrementi raccolti dal 1999 al 2011, ha messo in evidenza come gli ungulati selvatici costituiscano la parte preponderante della dieta del lupo sulle Alpi, pertanto si evince che gli ungulati selvatici rappresentano più del 90% delle ricorrenze della dieta del lupo».
E ne fanno anche una seria questione sanitaria: «Creare una rete, da parte della giunta Cirio, di controlli e di macelli per poter mettere in commercio la carne di selvaggina, ci sembra pericoloso anche perché in condizioni di sempre maggiore promiscuità tra l’uomo, l’habitat e le specie animali selvatiche, sempre più sfruttati, deturpati, il rischio di trasmissione di patologie rimane elevato».