«Quando abbiamo visto le dichiarazioni dell’assessore regionale all’Agricoltura per l’emergenza cinghiali, non ci sembrava vero. E quando la notizia si è diffusa, abbiamo raccolto centinaia di segnalazioni di sdegno dei nostri associati».
Oltre il danno, le parole dell’assessore sono una vera e propria beffa, è stata una giornata surreale quella di ieri, confessa il direttore di Coldiretti Asti, Diego Furia, per come è stata presentata l’intenzione della Regione di istituire una filiera tracciata di commercializzazione delle carni di selvaggina sul territorio. Così «trasformiamo in risorsa – ha scritto in un suo comunicato stampa l’assessore Marco Protopapa – il grave problema dei danni da cinghiali».
E ancora, l’Assessore ha annunciato di aver avviato un progetto per la «valorizzazione del benessere animale», queste le sue testuali parole, con «le carni di selvaggina di animali a vita libera, che si cibano spontaneamente di ciò che la natura offre e che non entrano mai in contatto con la situazione di stress».
«Ci sentiamo offesi dalle parole dell’assessore regionale all’Agricoltura», rileva il presidente di Coldiretti Asti, Marco Reggio. «C’è gente che ha riseminato tre volte, è disperata, non sa come fare, e teme anche per la sua incolumità. Venerdì nel Chierese un bambino in bicicletta è finito in ospedale perché investito dai cinghiali mentre andava a scuola su una strada che percorre da anni. Anche il più intransigente degli animalisti non è preoccupato per lo stress dei cinghiali e capisce che bisogna intervenire drasticamente per fare in modo che non attacchino le persone e non mangino i frutti del lavoro degli agricoltori. La priorità è ridurre la presenza degli animali selvatici sul territorio, bisogna intervenire in modo efficace e determinato».
«In questi anni che l’emergenza cinghiali è cresciuta esponenzialmente – ci spiega Andrea Rabino, agricoltore di Villafranca d’Asti e vice presidente dell’Associazione nazionale allevatori bovini di razza Piemontese – noi agricoltori abbiamo percorso tutte le vie istituzionali cercando soluzioni e accordi per cercare di arginare la situazione, dal recente incontro in Prefettura e dai vari tavoli di lavoro la proposta della filiera era stata ritenuta da quasi tutti un obiettivo a bassa priorità. Invece la notizia dell’assessorato all’Agricoltura sembra ribaltare le carte in tavola. Vogliamo conoscere cosa c’è dietro questa svolta».
«Gli agricoltori non ci stanno a correre il rischio di mantenere i cinghiali per sostenere una filiera di cui fanno volentieri a meno – rincara Franco Serra, agricoltore di Aramengo e vice presidente dell’associazione regionale allevatori, Arap. Bisogna concretizzare l’applicazione degli strumenti individuati in questi anni, a partire dagli abbattimenti selettivi dei cinghiali, alla sterilizzazione degli animali, fino all’allargamento della platea di chi è autorizzato a cacciare gli animali nocivi, compreso l’eventuale ampliamento di utilizzo di forza pubblica. Se noi agricoltori abbiamo investito a nostre spese su recinti e sistemi per difendere le colture, in questi anni non sempre i cacciatori hanno avuto un ruolo trasparente rispetto all’obiettivo di ridurre in modo significativo il numero di cinghiali. Fatta così, la proposta di questa filiera ha in sé il rischio che la parte venatoria continui a lavorare per mantenere alte le popolazioni dei cinghiali per poter avere i carnieri sempre ben forniti. Un rischio che gli agricoltori devono e vogliono evitare».
Secondo Coldiretti Asti quindi la filiera della selvaggina sarebbe l’ennesimo tentativo per non affrontare concretamente l’emergenza e, anzi, per andare a sanare una situazione con interessi anche economici.
«La realtà che molti conoscono e forse nessuno ha il coraggio di dire – conclude Furia – è che una filiera della selvaggina probabilmente esisterebbe già, agirebbe nell’anonimato e quindi in modo sommerso, dando tra l’altro adito al rischio di trasmissione e propagazione di malattie»