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Cocconato: l’Uomo selvatico e la questua, il Carnevale di un tempo

Fra Ottocento e metà Novecento la festa era invece caratterizzata da alcuni rituali particolari
L’unico momento di festa in occasione del Carnevale a Cocconato è stato quest’anno il Carnival Party organizzato dalla Pro Loco. In effetti a partire dal secondo dopoguerra il Carnevale è stato limitato a un pomeriggio di festa per i bambini e, in alcuni anni, a un veglione mascherato.

Fra Ottocento e metà Novecento era invece caratterizzato da alcuni rituali particolari, legati alla tradizione piemontese. Fino al 1879 vi era la barbara usanza di tagliare la testa del tacchino appeso a testa all’ingiù, con i fantini che vi passavano sotto di corsa a cavallo, fino a che la testa della povera bestia si staccava dal collo, per essere poi infilata su un bastone: i partecipanti a questa pagliacciata scorazzavano per l’abitato andando a bere qua e là fino a ubriacarsi. Simili rituali carnevaleschi sono attestati in diversi paesi astigiani: famosa è la giostra del pitu di Tonco, dove, dopo infinite polemiche, il tacchino nel 2015 è stato sostituito da un simulacro in tessuto.

Gruppi spontanei di giovani cocconatesi organizzavano, già a inizio Novecento, vestiti con costumi alla buona, momenti di goliardia. In una vecchia foto si vede un gruppo di persone vestite con vecchi abiti e semplici costumi, con davanti un cesto, una damigiana e recipienti vari: si può supporre che negli ultimi giorni di carnevale i giovani andassero in giro per il paese con un carretto per una sorta di questua, accompagnata da canti e schiamazzi, e con quanto raccolto festeggiassero poi tutti assieme.

Nella frazione Vastapaglia vi era un singolare rituale carnevalesco che iniziava la domenica precedente il Martedì grasso con le questue eseguite dai maschi (bambini e adulti) alla sera nelle case della frazione e della vicina borgata Tani. Con il ricavato delle questue si organizzava la festa, alla quale veniva invitato qualcuno in grado di suonare la fisarmonica; per l’occasione le donne preparavano i canestrelli.

Il Martedì grasso, giorno in cui nessuno avrebbe dovuto lavorare, avveniva il rito dell’Uomo selvatico: un contadino, quasi sempre lo stesso, si recava in vigna a potare. Qui veniva successivamente catturato dagli altri uomini della frazione, che lo legavano con la rete utilizzata per trasportare il fieno e lo portavano a casa, dove avrebbe dovuto offrire da bere e da mangiare a tutti i presenti. La festa, cui erano presenti anche le figure tipiche del Vecchio e della Vecchia, proseguiva con canti e balli fino a tarda notte. Anche nei giorni successivi, fino alla domenica del Carnevale vecchio, alla sera si faceva festa. Questa manifestazione si inserisce nel filone di animali (come l’orso di meliga di Cunico) e uomini selvatici, figure emblematiche della tradizionale carnevalesca di alcune aree piemontesi.

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