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Attualità
La storia

Condannato a lavorare fino a 70 anni: storia del custode poeta

E’ uno degli albanesi in Italia che non può fare affidamento sugli anni lavorati in patria per poter andare in pensione

La sua è un’avventura, più che una storia di vita, così come lo sono la maggior parte delle storie degli albanesi arrivati in Italia con la grande migrazione dei primi Anni Novanta.
Fatmir Gjata, 55 anni, è arrivato dall’Albania con la prima ondata, nel 1991. All’epoca di anni ne aveva 25 e in patria aveva lasciato la moglie e una bimba di appena due mesi e mezzo.
«Di quella partenza, dopo tutti questi anni, ricordo solo lo strazio di dovermi separare dalla mia piccola» dice ancora commosso nonostante la famiglia si sia poi riunita e quella “bambina” con il talento del disegno dei manga oggi gestisca la lavanderia a secco del Parco Commerciale Magnone di Castelnuovo Don Bosco.
«In Albania lavoravo da 5 anni come tecnico di sfruttamento del petrolio, ero addetto al monitoraggio dell’estrazione e della distribuzione dei pozzi, anche quelli di gas». Un buon lavoro, si direbbe, cui aveva associato anche una passione per la politica e l’inizio di una carriera in questo mondo, sulle orme del padre.
«Ma volevo una vita migliore. Per me e per la mia famiglia – così giustifica la partenza Fatmir – In Albania non c’era nulla, dovevo alzarmi alle 3 del mattino per andare a fare la fila per acquistare il latte per la mia bambina. Una povertà commerciale spaventosa, una propaganda di Stato repressiva, stipendi allineati qualunque fossero le mansioni e gli incarichi.
Perfino le case e i mobili erano uguali per tutti. E dalle testimonianze che filtravano, seppur a fatica, sapevamo che al di là dell’Adriatico la vita era invece molto più semplice e gratificante».
L’arrivo a Metaponto, poi il trasferimento in Vallecrosia e poi l’arrivo a Pino d’Asti.
«In Italia ho fatto di tutto: il muratore, il fabbro, il garzone e, purtroppo, anche il disoccupato – ricorda Fatmir – poi in Piemonte sono stato assunto dall’indimenticato professor Fabris per fare il custode del suo castello di Pino e per 24 anni ho lavorato per lui».
Dopo la scomparsa del noto sociologo, Fatmir è stato assunto come guardiano notturno proprio al Parco Commerciale Magnone.
E ora, a 55 anni, comincia a pianificare, anche se a distanza, il suo abbandono del mondo del lavoro per andare in pensione.
«Ma a causa della mancanza dell’accordo con l’Albania, la mia prospettiva è di lavorare fino a 70 anni – dice – Intendiamoci, io sono riconoscente del fatto che un lavoro ce l’ho e mi piace anche, ma penso anche a tutti i connazionali che fanno un lavoro ben più pesante del mio. Ne conosco, soprattutto in edilizia, che a 68/69 anni vanno ancora sui tetti o fanno lavori pesanti dal mattino alla sera. Io, come quasi tutti questi albanesi, ho la cittadinanza italiana e vorrei essere trattato come italiano nel diritto al riposo dopo una vita di lavoro».
E fa anche un discorso molto realistico: «Se ci fosse concesso andare alla stessa età degli italiani, ci sarebbe anche una spinta a pagare i contributi previdenziali e a lavorare alla luce del sole mentre così, molti stanno pensando di lavorare in nero perché non vedono alcuna convenienza a dare il proprio contributo allo Stato se poi tanto non viene riconosciuto.
E, alla fine, si arriva comunque allo stesso risultato con la pensione di vecchiaia garantita a tutti. Inoltre, allo Stato costa in termini di cura di infortuni e malattie derivanti dall’usura del fisico di persone che, per la maggior parte, hanno sulle spalle decine di anni di lavori pesanti ed usuranti».
La voce di Fatmir non è solo quella di uno degli albanesi direttamente coinvolti in questa richiesta, ma è molto seguita dai suoi connazionali perché è riconosciuto come uno dei più noti poeti viventi di lingua albanese e dunque rappresenta un punto di riferimento qui in Italia e in patria. Con le poesie pubblicate in 7 raccolte (e due di prossima uscita), ha vinto molti premi e concorsi.

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