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Attualità

Cosa nostra, il dovere della memoria
Il Social Paper sull'impegno contro le mafie

Riusciamo a distinguere la mafia, intesa come organizzazione criminale, dalla cultura mafiosa presente nella nostra società? La rete di Libera si occupa proprio di diffondere l'eduzione alla legalità, e nell'astigiano si occupa di gestire Cascina Graziella, bene confiscato alla mafia nel 2001

È sempre difficile parlare di mafia, si ha sempre l’impressione di trattare un fenomeno che non si conoscerà mai a fondo, una materia che sfugge al controllo di persone oneste e lontane dalla logica mafiosa. Ma siamo sicuri di essere così distanti dai meccanismi mentali alla base delle organizzazioni a delinquere? Ancora oggi, troppo spesso, non si riesce a distinguere la mafia dalla cultura mafiosa che è entrata nelle nostre case, come un parassita che intacca il nostro DNA. La tendenza è sempre quella di demandare la responsabilità a chi sta più in alto di noi, ai politici per esempio o alla guardia di finanza; ma poi sovvengono alla mente episodi spiacevoli legati alle giornate tra i banchi di scuola: i compagni che parlano dei traffici di droga che ormai spopolano negli istituti e mai nessuno che si domanda la provenienza di queste sostanze. Mi chiedo se cambierebbe qualcosa se solo sapessero che la droga è la prima fonte di sostentamento della criminalità organizzata.

Ma forse già lo sanno e poco importa perché erano troppo piccoli o neanche nati quando quel 23 maggio 1992 sull’autostrada A29 saltava in aria l’auto con a bordo il magistrato Falcone insieme alla moglie e ai tre agenti di scorta, o quando due mesi dopo in Via D’Amelio a Palermo un’autobomba attentava alla vita di Paolo Borsellino; e così oggi se a un ragazzo domandate di Maurizio Costanzo probabilmente vi saprà dire tutto sul Costanzo Show o sulla moglie Maria De Filippi, ma poco o niente sull’attentato fallito in Via Fauro a Roma. Dico questo non per screditare la generazione di cui faccio parte ma per dare un segnale: il dovere alla memoria è un esercizio quotidiano.

Oggigiorno pare essere entrati in un circolo vizioso: i genitori demandano l’educazione dei figli alla scuola che, dal canto suo, ci racconta le grandi imprese della Roma antica e le ragioni che hanno portato alla Grande Guerra ma poi, nel pieno rispetto di preistorici programmi ministeriali, si dimentica di allacciare il passato con il presente, a discapito di quello che dovrebbe essere il vero compito della Storia. Sono passati ormai due secoli da quando il filosofo tedesco Karl Marx lamentava l’inutilità di vane speculazioni teoriche se prive di una ricaduta effettiva sul presente, ma di fatto poco sembra essere cambiato. E così, proprio per ridare dignità alle vittime di mafia, il 25 marzo 1995 nasce Libera: un monumento alla memoria e alla lotta contro la criminalità organizzata.

Libera è una rete di associazioni, gruppi, scuole e singoli cittadini che non hanno smesso di credere nella Giustizia e nella Legalità perché, come sosteneva Giovanni Falcone nel suo libro “Cose di Cosa Nostra”: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.» Ogni anno il 21 marzo, primo giorno di primavera e simbolo di speranza e rinascita, l’Italia solleva il velo di omertà per pronunciare a gran voce i nomi delle 824 vittime innocenti che spietate cosche mafiose hanno eliminato; ogni anno migliaia di giovani danno il loro contributo in campi di volontariato sui beni confiscati ai clan mafiosi; ogni anno è un passo avanti verso un mondo più giusto e più libero. E noi astigiani questo passo lo stiamo compiendo prendendoci cura del bene confiscato nel 2001 a Moncalvo. All'inizio degli anni '90, infatti, la famiglia Pace comincia i lavori di restauro di una cascina e dei suoi 8 ettari di terreno senza destare i sospetti dei compaesani con cui instaura normali rapporti di vicinato.

Si scopre solo qualche anno più tardi che Francesco Pace, trapanese ex autotrasportatore che dagli anni '70 ha intrapreso una carriera da imprenditore, intrattiene rapporti con organizzazioni a delinquere. Il bene viene quindi confiscato e ribattezzato “Cascina Graziella Campagna”, in onore della giovane diciassettenne siciliana uccisa nel 1985 perché, svolgendo il suo impiego di lavandaia, aveva casualmente trovato un documento che rivelava l'identità del nipote latitante del boss Gerlando Alberti: il cadavere della ragazza fu ritrovato due giorni dopo con cinque ferite da arma da fuoco. Oggi la cascina è in via di ristrutturazione e sarà riutilizzata a scopo sociale, secondo la legge regionale 109/1996, come casa di accoglienza per donne in situazione di marginalità.

“Un mattone per Cascina Graziella” e la raccolta di tappi di sughero da rivendere ad aziende del settore edilizio sono solo alcune delle iniziative finalizzate a sensibilizzare il territorio rispetto alla storia di Graziella Campagna e di tutte le vittime innocenti, e a raccogliere i fondi necessari a portare a termine la ristrutturazione dell'edificio (stimati attorno ai 250 mila euro). Piccoli gesti, insomma, che possono dare un grande contributo per un ambizioso progetto, perché solo tutti insieme possiamo sconfiggere la mafia che, come diceva Peppino Impastato, non è altro che “una montagna di merda”.

Elena Pinetti

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