La figura di Davide Lajolo, spirito libero e anticonformista
Il 21 giugno 1984, Davide Lajolo, colpito da un secondo infarto, chiudeva a Milano la sua esistenza vissuta con spirito libero e anticonformista ed è sepolto nella tomba di famiglia a Vinchio d’Asti che riporta il motto da lui scelto “Dignità nella vita, serenità nella morte”.
In questi trentaquattro anni, sono sempre più numerosi gli estimatori dello scrittore, politico, giornalista monferrino.
A scuola dai Salesiani
Davide Lajolo nasce da una famiglia contadina il 29 luglio 1912 e, all’età di otto anni, dal momento che a Vinchio la scuola arrivava solo al terzo anno delle elementari, i suoi genitori lo iscrivono presso le scuole salesiane, a Castelnuovo don Bosco.
Il distacco dalla famiglia è doloroso ma poco alla volta egli si abitua alla vita del collegio dimostrando attitudini per gli studi e, soprattutto, per le materie letterarie.
Conseguita la maturità classica al liceo Plana di Alessandria, segue per un breve periodo, sulle orme del fratello più grande, la carriera militare ma la sua ambizione è diventare giornalista di professione.
La guerra in Spagna
Da giovane, Davide Lajolo rimane affascinato dalla propaganda del fascismo e, nel 1937, partecipa alla guerra di Spagna militando nella divisione “Volontari del Littorio”.
Di quella esperienza scriverà: “Avevano detto al popolo spagnolo che gli italiani tagliavamo la testa a tutti ma li avevamo rassicurati dicendo loro che noi, soldati di Mussolini, sapevano trasformare il glabro duro volto della battaglia nel sorriso chiaro dei liberatori”.
Giornalista al Corriere Adriatico
Nel 1939 inizia a lavorare al “Corriere Adriatico” di Ancona e, nello stesso anno, si unisce in matrimonio con la compaesana Rosetta Lajolo e, dall’unione nasce Laurana.
Pubblica il suo primo romanzo “Bocche di donne bocche di fucili”. Con i gradi di ufficiale, partecipa alla seconda guerra mondiale sui fronti greco-albanese e, pur passando da un campo di battaglia all’altro, continua a scrivere, soprattutto, poesie di rifiuto della morte e della guerra e di fedeltà ai commilitoni caduti. É del 1940 la prima raccolta poetica “Nel cerchio dell’ultimo sole” e “L’ultima rivoluzione” e del 1943 il secondo libro di poesie “Ponte alla voce”.
Cambiamento radicale
Un cambiamento radicale che lo porterà a sconfessare i suoi trascorsi giovanili giunge l’8 settembre 1943 quando Lajolo ritorna al suo paese natio dove decide di passare alla lotta partigiana sulle colline astigiane con il nome di battaglia “Ulisse”.
Tracce di quella che lui stesso definisce “voltar gabbana” si trovano in “Classe 1912” (il suo anno di nascita) stampato nel 1945 e ristampato nel 1975 e nel 1995 con il titolo “A conquistar la rossa primavera” e ne “Il voltagabbana” del 1963 in cui il “nostro” scrittore analizza le ragioni che lo portarono a schierarsi, dopo una giovinezza fascista, dalla parte della Resistenza.
Direttore di giornale
Nel 1945 diventa caporedattore e poi direttore dell’edizione dell’Italia settentrionale de “l’Unità” e nel 1947 si trasferisce a Milano come vicedirettore del quotidiano comunista di cui diventa direttore dal 1949 al 1958.
Lajolo, sempre più legato al mondo del giornalismo, fonda il giornale sportivo “Il campione” e collabora a quotidiani e settimanali.
Nel 1958 viene eletto deputato per il PCI, incarico che svolge per tre legislature consecutive.
Continua l’attività di scrittore
Comunque, continua l’attività di scrittore e, nel 1960, pubblica l’opera sua più nota “Il vizio assurdo-Storia di Cesare Pavese”, una stupenda e commossa rievocazione della vita dello scrittore di Santo Stefano Belbo e da questa opera attinsero, a piene mani, un’infinità di studenti, io in primis, per l’esame di maturità.
Lajolo, racconta che Pavese, dalla sua stanza dell’albergo “Roma” in Torino, il 27 agosto 1950, telefonò ad alcune donne chiedendo loro compagnia ed invitandole a cena ma nessuna, per vari motivi, accettò l’invito.
Pavese decise di “spegnere la luce e lasciarsi andare” ingerendo oltre dieci bustine di sonnifero.
Davide Lajolo e Beppe Fenoglio
Lo scrittore Lajolo bocciò il collega Fenoglio quando dalle pagine de “l’Unità” criticò il racconto “I ventitré giorni della città di Alba”: “Pubblicare e diffondere questo tipo di letteratura significa non soltanto falsare la realtà ma anche sovvertire i valori umani e distruggere quel senso di onestà morale e dirittura di cui la tradizione letteraria può farsi vanto… Stupisce veder partigiani descritti tra la caricatura e il picaresco”.
Poi, Lajolo, fece una vigorosa correzione di rotta e negli anni Settanta dedicò allo scrittore albese una serie di opere di cui la più significativa è “Fenoglio. Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe (Rizzoli, 1978).