E’ ancora utile scrivere a mano nel terzo millennio, dominato dalla tecnologia digitale? Se sì, per quali motivi? E’ l’interrogativo cui si propone di rispondere il webinar in programma sabato 9 ottobre, promosso dall’Aid (Associazione italiana disgrafie) in collaborazione con il Primo circolo didattico di Asti e l’Università di Ferrara.
Rivolto ad insegnanti di tutta Italia, nei giorni scorsi contava circa 300 iscritti. Vedrà intervenire pediatri, neuropsichiatri infantili, psicologi e, in primo luogo, la presidente dell’associazione, Alessandra Venturelli, pedagogista e grafologa emiliana cui abbiamo posto alcune domande sul tema.
Dottoressa Venturelli, quali sono gli scopi dell’associazione?
L’Aid, che comprende esperti del settore, insegnanti e genitori, si occupa della prevenzione e del recupero delle difficoltà graficomotorie che possono riscontrare i bambini. Al contempo fa divulgazione sul tema, basandosi su ricerche e studi scientifici.
La disgrafia e gli altri DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento), che sono importanti difficoltà relative alle attività di base (leggere, scrivere, contare) – nel 2017 registravano un aumento del 350% rispetto al 2010 (dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione).
Per quale motivo?
Il discorso è molto complesso e, secondo me, si intreccia anche con le modalità con cui questi problemi vengono affrontati sulla base della legge 107 del 2010, che stabilisce strategie compensative o dispensative per i bambini che manifestano difficoltà.
Tuttavia, per non uscire dal mio campo, ovvero la disgrafia, posso sottolineare che non facilitano l’apprendimento della scrittura a mano due fattori. Innanzitutto il fatto che spesso vengono trascurati, nell’età prescolare, l’esercizio della manualità, anche fine, e quegli stimoli sensoriali propedeutici ad apprenderla. Quindi le abitudini di vita e i programmi scolastici, nettamente cambiati dai tempi in cui, a scuola, i bambini nella grande maggioranza dei casi imparavano a scrivere correttamente e in bella grafia».
Il confronto con il passato
Facciamo qualche esempio…
Basti pensare alla differenza tra la società e di oggi e quella, ad esempio, degli anni Sessanta.
A quei tempi i bambini, pur frequentando raramente mai l’asilo, erano educati dalle famiglie alla manualità: aiutavano in cucina, si allacciavano le scarpe, si vestivano da soli, usavano le forbici, utilizzavano in modo corretto le posate a tavola, dove stavano seduti composti. Parimenti, giocavano molto spesso all’aperto, nella natura, ricevendo quindi quegli stimoli percettivi e sensoriali cui accennavo prima. Nello stesso tempo, a scuola i ritmi erano più lenti, gli obiettivi pochi. Ciò consentiva alla stragrande maggioranza dei bambini di acquisire le competenze di base: leggere, scrivere e contare».
Un mondo decisamente diverso da quello attuale…
«Certo, perché i bambini oggigiorno usano prevalentemente giochi elettronici, spesso individualmente, stanno poco all’aperto e spesso non sono più abituati a fare da sé. Inoltre a scuola i programmi sono più ricchi di contenuti, per cui, a causa dei ritmi veloci cui devono sottostare, gli insegnanti possono essere tentati a non curare la scrittura a mano. E’, questa, un’abilità di motricità specializzata che richiede un lungo apprendimento specifico, va insegnata in base ad un metodo e prevede il controllo della corretta postura al banco e dell’impugnatura della matita. E in tale contesto il digitale non aiuta.
In che senso?
Oltre a limitare lo sviluppo sociale e percettivo del bambino nel tempo libero, può creare difficoltà in classe. Facciamo un esempio. In alcune scuole, poche per fortuna, sono state tolte le lavagne in ardesia per lasciare posto solo a quelle digitali. Ebbene, se un bambino va alla lavagna di ardesia a scrivere, l’attrito del gesso frena il movimento e gli consente di lavorare meglio. Inoltre può vedere immediatamente il risultato di ciò che ha scritto, con la possibilità di migliorarsi. Sulla Lim, invece, il risultato sarà sempre lo stesso, perché mediato dal computer, che tra l’altro non consente l’immediatezza del risultato, dato che c’è sempre un po’ di ritardo.
L’importanza della scrittura a mano
Quindi secondo lei la scrittura a mano è ancora importante?
Certo. Come hanno dimostrato numerosi studi scientifici, la scrittura a mano aiuta ad apprendere i contenuti. Infatti il gesto grafico aumenta la capacità di riconoscere le lettere e, quindi, aiuta a leggere meglio.
E’ stato dimostrato che memorizzano molto più facilmente coloro che prendono appunti a mano piuttosto che sul tablet.
Cosa fare, allora, per favorire l’apprendimento della scrittura tra i bambini?
Bisogna lavorare sulla prevenzione, tenendo ovviamente presente che si rivela insufficiente per tutti quei problemi legati a cause neurobiologiche.
Ad esempio, io ho ideato un metodo, chiamato metodo Venturelli, che va a creare, fin dall’ultimo anno di asilo nido, i presupposti dell’attività di percezione ritmica, spaziale, temporale e di motricità fine per consentire ai bambini di arrivare alla scuola primaria e imparare a scrivere correttamente».