Il suo ruolo alla Douja d’Or non è solo curare una cena, ma promuovere la consapevolezza della ricchezza gastronomica del territorio. Parliamo di Federico Francesco Ferrero, medico nutrizionista torinese vincitore, nel 2014, della terza edizione di Masterchef, noto anche per la rubrica DoctorChef che tiene sul quotidiano “La Stampa”. Sabato scorso, nel cortile del Michelerio, ha guidato due delle Pro loco aderenti nei mesi scorsi alla rassegna Monferrato on Stage in una cena d’autore che abbinava salute e sapore. Appuntamento che si ripeterà ancora nell’ambito della Douja d’Or, sempre nell’area degustazione gestita dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.
Lo abbiamo incontrato per saperne di più.
Come è nata la collaborazione con il consorzio e Monstage?
Conosco il consorzio da molti anni, tanto che avevamo già collaborato a Verona. L’anno scorso, invece, ho avuto i primi contatti con la rassegna di musica e gastronomia Monstage. In particolare ho conosciuto i componenti delle Pro loco coinvolte per stimolarli a trovare prodotti enogastronomici veri. In sostanza, ad esaltare i prodotti del territorio mescolandoli con le eccellenze del mondo. L’obiettivo è tornare alla cucina vera, preparata sul momento. Cucina che è arte del sapore, e non arte della decorazione come avviene oggi.
Quando cucinerà di persona?
L’ho fatto sabato scorso e tornerò venerdì 17 settembre. In ogni caso, sarà possibile gustare menu ideati da me, e preparati dalle Pro loco, ogni venerdì e sabato sera fino al 3 ottobre. L’obiettivo comune è fare in modo che i commensali provino l’esperienza della cucina di un ristorante stellato pur pagando molto meno, dato che i piatti sono preparati da chi racchiude i saperi del territorio. Territorio che, se vuole rimanere moderno dal punto di vista enogastronomico, deve guardare al futuro all’insegna di tre parole chiave.

L’enogastronomia e il territorio
Quali?
Innanzitutto la salute. Sebbene sia ormai assodato il connubio con il cibo, spesso è un concetto solo dichiarato e non messo in pratica.
Per applicarlo concretamente in cucina bisogna dare, ad esempio, maggiore spazio ai piatti vegetali e a porzioni adeguate al punto di vista calorico.
La seconda parola chiave è sostenibilità. Nei menu che propongo non c’è un solo prodotto che abbia visto mangimi e fertilizzanti. La terza è sapore, che non va disgiunto dalla salute. Mangiare sano non vuol dire scegliere piatti poco gustosi, ma piatti il cui sapore si basa su una gamma aromatica, dato che il cibo appaga se possiede tante tonalità, e non su intensità e concentrazione.
Quali sono, secondo lei, i punti di forza del nostro territorio dal punto di vista gastronomico?
Questo è un territorio che, come pochi in Italia, ha enormi potenzialità dal punto di vista gastronomico. Ovvero, la memoria contadina tramandata dagli anziani, la grande biodiversità del paesaggio (dalle colline alle vigne, dai campi coltivati a cereali ai boschi), il clima molto vario. Il tutto, peraltro, intrecciato con un patrimonio culturale di rilievo. Bisogna però aumentarne la consapevolezza. E questo è il mio compito.