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Attualità
Vita giudiziaria

Gli avvocati penalisti astigiani si “separano” da Torino e formano la loro Camera Penale

Era dagli Anni Novanta che in Italia non si formava una Camera Penale autonoma. Intervista al presidente Gatti

E’ dagli Anni Novanta che non nasce una Camera Penale autonoma in Italia. A interrompere questo “digiuno” ci ha pensato Asti, con l’atto costitutivo che è stato approvato dai presidenti delle altre 129 Camere penali italiane. Grande la soddisfazione del presidente Davide Gatti, già rappresentante dei penalisti astigiani quando erano una “costola” della Camera Penale Vittorio Chiusano di Torino.
Con i suoi 40 iscritti, da qualche giorno cammina da sola, con la sede fissata presso il Tribunale di Asti e tante iniziative in testa.
Già eletto anche il direttivo: presidente Davide Gatti, vice presidente Guido Cardello, segretario Luca Corbellini, tesoriere Chiara Pescarmona, consiglieri Alberto Avidano (in passato rappresentante della sezione astigiana a Torino), Claudia Cristofori e Francesca Racconci.

Intervista al presidente Davide Gatti

Presidente Gatti, da dove nasce l’esigenza di rendersi autonomi?
La ragione prevalente è la continua e costante crescita negli anni che ha portato agli attuali 40 iscritti. Un numero di tutto rispetto che ha consentito di fare il grande passo. A novembre l’assemblea ha deciso, all’unanimità, per l’autonomia. Alla presenza anche del collega Roberto Capra, presidente della Camera Penale di Torino. Tengo a precisare, infatti, che il distacco è stato “consensuale” e accompagnato dai colleghi torinesi fino al suo compimento.
Che vantaggi ci sono ad essere Camera Penale autonoma?
Si accorciano le distanze fra noi e il centro decisionale. Ogni volta che ci saranno istanze di colleghi astigiani, sarà possibile interfacciarsi direttamente con l’Unione Camere Penali italiane di Roma che, a sua volta, interloquisce con il Ministero.
Che ruolo ha la Camera Penale?
In via principale quello di vigilare affinchè il processo penale si svolga nel rispetto delle regole dettate dalle leggi e dalla Costituzione.
E nello specifico della nostra città?
Ci siamo proposti di offrire alla società civile degli spunti di riflessione e confronto su materie che noi trattiamo ogni giorno e che spesso entrano anche nelle vite delle persone e delle famiglie. Penso, per fare un esempio, alla maratona oratoria sul fenomeno dei suicidi in carcere. L’idea è quella di coinvolgere la cittadinanza su temi che possono riguardare loro o persone a loro vicine traslando la formula del processo, ovvero offrendo sempre diversi punti di vista e posizioni sullo stesso argomento.
Quali le iniziative in cantiere?
Quelle che, pur come sezione distaccata di Torino, abbiamo già avviato negli anni scorsi e hanno avuto buoni riscontri: incontri nelle scuole con i ragazzi delle superiori in ambito di orientamento scolastico per promuovere la nostra professione; sempre gli studenti superiori sono stati invitati a partecipare ai processi in veste di pubblico. L’anno scorso abbiamo anche introdotto il “processo simulato” in cui gli studenti si studiavano un caso e poi lo discutevano in aula vestendo i panni di giudice, pm, difensore, imputato, testimoni.
Quella di avvocato è una professione meno ambita, soprattutto in ambito penale. Lei come lo spiega?
Un po’ per l’incredibile impegno che impone, con telefonate di detenuti e arrestati ad ogni ora del giorno e della notte, le visite in carcere, i processi nei vari tribunali. Credo poi che anche la digitalizzazione sempre più spinta spersonalizzi il processo penale. E poi, non ultimo, il fronte economico che, per chi comincia ora, non ripaga dei sacrifici imposti. Ma resta una meravigliosa professione che ogni giorno ti offre una sfida.

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