Chi lavrebbe detto che piccole aziende agricole delle colline del nord Astigiano avrebbero avuto la possibilità di partecipare allExpo di Milano accanto ai giganti delle coltivazioni
Chi lavrebbe detto che piccole aziende agricole delle colline del nord Astigiano avrebbero avuto la possibilità di partecipare allExpo di Milano accanto ai giganti delle coltivazioni mondiali? A dare questa opportunità, a distanza di 200 anni dalla sua nascita su quelle stesse colline, è San Giovanni Bosco. Sta infatti proseguendo la ricerca di una ventina di cascine che negli anni hanno sempre dimostrato di credere nel pensiero educativo del Santo e si sono attivate per affiancare allattività agricola anche quella solidale e religiosa a favore di chi è meno fortunato o dei giovani che vogliano imparare il mestiere del contadino.
«Qualche adesione già labbiamo raccolta – dice Don Egidio Deiana, rettore della Basilica e coordinatore delle iniziative per lExpo – ma stiamo ancora procedendo ai contatti. Attendiamo di sapere esattamente le date che ci verranno concesse allinterno di Casa Don Bosco e quale iter vada seguito per portare lì le piccole aziende». Non si tratterà di una vetrina commerciale, questo va detto, ma di unoccasione per portare in degustazione i propri prodotti e raccontare come nascono, come vengono coltivati, quali progetti ci sono dietro la scelta di una coltivazione al posto di unaltra.
La presenza delle cascine astigiane sarà legata anche alla presenza delle importanti scuole agricole salesiane che hanno formato generazioni di esperti di agronomia, contribuendo a sviluppare lagricoltura anche in parti del mondo dove la fame mieteva migliaia di vittime. Lesportazione del mestiere del contadino daltra parte, faceva già parte della vocazione di Don Bosco e dei suoi primi missionari. Lui stesso, figlio di contadini cresciuto in campagna, aveva fortemente voluto le passeggiate sulle colline intorno ai Becchi per i suoi ragazzi, perchè toccassero con mano la meraviglia dei doni della natura. Lorto a Valdocco, reso celebre da un passo che riguarda anche la vita torinese di Mamma Margherita, è stato un altro segno caratteristico dellopera di Don Bosco che non dimenticava mai la pragmaticità del reperimento del cibo per sopravvivere.
Sempre a Valdocco, ha raccontato Don Deiana, cè ancora una vite piantata da Don Bosco, sopravvissuta agli anni, alle malattie, allaccerchiamento del cemento, agli attentati di architetti e impresari che volevano sradicarla. E viti astigiane erano quelle che i primi missionari del Sud America si portarono dietro per fare un vino da messa di buona qualità. Quei pochi filari, nei decenni, si sono trasformati in vaste distese a vigneto che hanno cambiato il paesaggio e leconomia di sostentamento di intere regioni.