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Domenico Catrambone
Attualità
Intervista

«I Piani regolatori devono smettere di prevedere il futuro»

L’architetto Domenico Catrambone analizza le criticità urbanistiche, ma sul progetto “Caso” (Tangenziale Sud Ovest) non ha dubbi: «Ha un rapporto tra benefici diretti e costi di realizzazione a dir poco ridicolo»

Disegnare l’Asti che verrà avendo una visione chiara di quale vocazione sostenere con il prossimo Piano regolatore, mettendo da parte il libro dei sogni irrealizzabili, ma senza inseguire opere come la nuova “mini tangenziale” Sud/Ovest «che a fronte di quello che costa, tra 150 e 200 milioni, non serve alla città». A parlare è l’architetto e urbanista astigiano Domenico Catrambone.

L’amministrazione Rasero ha iniziato a predisporre il futuro Piano regolatore che per gli urbanisti è la Bibbia “amministrativa”. Però anche la Bibbia va interpretata. Lei cosa si aspetta?

Arriviamo da tanti anni di piccole o grandi delusi dell’Urbanistica e ricordo che ci sono molte più leggi che servono a derogare ai Piani regolatori di quelle necessarie a scriverli. Questi piani non sono più pronti a rispondere ai problemi delle città ed è per questo che un Piano regolatore dev’essere semplice per i piccoli, ma molto diffusi, interventi di continuo aggiornamento della città e pronto ad accompagnare i grandi progetti, soprattutto le occasioni che si presenteranno nel corso del tempo. Deve rendere molto più facile la vita a tutte le piccole e medie attività che si muovono nel contesto urbano perché ci sono già norme sanitarie, igieniche e acustiche che rendono difficile il lavoro a chi vuole insediare un’attività.

Cos’è per lei una città?

È un luogo dove vogliamo passare la nostra vita e fare comunità con altre persone, ma allo stesso tempo è dove lavoriamo, abbiamo i nostri interessi e questi muovono delle criticità. Insomma è un elemento in movimento con equilibri che ogni giorno cambiano.

Il Piano regolatore di Asti festeggia 30 anni dalla prima adozione e 24 anni dalla definitiva approvazione. Nel frattempo il mondo è cambiato e con lui le esigenze urbanistiche alle quali rispondere.

Per fare un Piano regolatore come quello di Asti occorrono quattro o cinque anni, siamo nel 2024 quindi veda lei. Pensare che possa gestire la vita di una città per i prossimi 35 anni è follia perché occorrerebbe uno stregone. Credo che i Piani regolatori debbano smettere di essere strumenti per tassare aree ed edifici prevedendo sviluppi quantitativi solo per questo fine; non devono prevedere il futuro, ma essere pronti ad adeguarsi a ciò che il futuro ci proporrà. Però devono definire i limiti delle diverse parti del territorio e della città, con le loro caratteristiche storiche, paesaggistiche, orografiche, idrogeologiche, economiche e insediative ai possibili adeguamenti necessari che arriveranno.

Quali sono le criticità dell’attuale Piano regolatore?

Si è in gran parte esaurito, sia quantitativamente sia qualitativamente. Non ci sono più esigenze così importanti rispetto alle previsioni inserite al suo interno. Mi vengono in mente i nuclei frazionali dove certe possibilità edificatorie non si sono realizzate, come la capacità insediativa inserita sulle radiali o sull’industria da rilocalizzare.

A differenza di quanto avvenuto a Torino, perché ad Asti sono mancate grandi opere che potessero innescare un processo virtuoso di urbanizzazione da lasciare il segno tra il prima e il dopo?

Il Piano regolatore di Torino si basa sulla realizzazione di un’infrastruttura importantissima sulla quale sono piovuti miliardi di lire: il passante ferroviario. Su quella idea forte e su quelle risorse si è costruito tutto uno sviluppo residenziale. Quell’operazione, nel bene o nel male, a seconda delle idee, ha però cambiato la città.

Abbiamo citato Torino, ma guardiamo ad Alba.

Perché Alba è meglio di Asti? Per due motivi: in primo luogo ha avuto un’industria completamente slegata alla Fiat e non ha subito i problemi derivati dalla crisi, però ha anche saputo sfruttare in pieno il proprio territorio di grande qualità. Per fortuna, siccome l’attrazione delle Langhe è talmente forte, anche il Monferrato inizia a beneficiarne.

Come si può rendere più bella la nostra città?

In primo luogo rilanciando i progetti dei 45 giovani architetti astigiani inseriti nell’iniziativa “Architetture Sottili” promosse dall’Ordine. Piccoli progetti di riqualificazione dei luoghi più critici di Asti. Poi vorrei che un grande paesaggista, collaborando con giovani architetti di Asti, si occupasse in maniera davvero seria di corso Alessandria, rendendolo un accesso finalmente accettabile, magari usando una ben più piccola parte dei soldi previsti per la tangenziale Sud/Ovest così da completarne il raddoppio a sud e riducendone il carico veicolare. Quindi vorrei anche che ci fosse un’amministrazione che avesse il coraggio di approvare finalmente un nuovo Piano Urbano del Traffico, a condizione che agli ingegneri trasportisti venissero affiancati architetti che sappiano collegare alle modifiche della circolazione progetti volti a migliorare la città. Infine mi piacerebbe un Piano del Verde Urbano che faccia crescere il verde in modo massiccio, creando le condizioni per rendere la manutenzione sostenibile. Come? Mettendo a disposizione più risorse pubbliche, chiudendo patti di collaborazione con i cittadini per lo sviluppo e la cura dei “beni comuni” e usando gli oneri di urbanizzazione per operazioni di manutenzione dei servizi della città.

Sul progetto del Collegamento Sud Ovest lei è molto critico. Perché?

Anche se non ho alcuna simpatia per il fondamentalismo ambientalista, quel progetto costa moltissimo, tra i 150 e i 200 milioni, ma ha costi sociali, ambientali e per le attività economiche ancora più grandi. Tutto questo a fronte di una contropartita che non esiste perché, come si evince dalla relazione trasportistica allegata al progetto dell’Anas, il rapporto tra benefici diretti e costi di realizzazione è a dir poco ridicolo.

Può essere più preciso?

I dati disponibili smentiscono l’ipotesi di un rilevante numero di veicoli in attraversamento dalla direttrice di Torino a quella di Alba perché il percorso Sud/Ovest è in prevalenza composto da traffico urbano e non di attraversamento. Inoltre quel tipo di opera riduce il ruolo di “nodo” della città, più volte rimarcato dalla stessa amministrazione comunale, spostandolo dalle aree storicamente vocate alle attività produttive (corso Alessandria e corso Casale ndr) alle aree agricole e fragili dal punto di vista idrogeologico e ambientale di corso Savona e della pianura di Isola. Questo rendendo Asti meno attrattiva per gli investimenti legati al retroporto di Genova.

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