La superficie agricola destinata a biologico in Italia raggiunge il record storico di 2,3 milioni di ettari (+7,5%), con quasi un campo su cinque (19%) del totale e oltre 82.000 produttori agricoli bio (il numero più elevato tra i Paesi dell’Unione Europea).
E’ quanto è emerso a fine settembre dall’analisi della Coldiretti, presentata in occasione della Giornata Europea del Biologico. In Italia, i terreni coltivati a bio sono: per il 43% seminativi (grano, orzo e avena), per il 28% prati e pascoli, per il 24 % colture permanenti (frutteti, oliveti e vigneto) e per il 2,5% ortaggi.
Il successo del biologico italiano e da filiera corta è confermato anche dalla riduzione delle quantità di prodotto biologico importate dall’estero: -31% di oli e grassi vegetali, -26% colture industriali e -22% cereali (ultimo Rapporto Bio in cifre, dati 2022 rispetto al 2021).
L’obbligo di scrivere in etichetta l’origine della materia prima e la volontà di valorizzare prodotti a km zero da parte dell’industria e dei consumatori, sta favorendo la costruzione di filiere biologiche nazionali. Il logo nazionale del biologico Made in Italy, previsto dalla legge nazionale di settore, e la possibilità di realizzare importanti contratti di filiera anche per il biologico, contribuiranno ulteriormente ad uno sviluppo sempre più sostenibile delle filiere agroalimentari. In questo scenario è nata Coldiretti bio, l’associazione di imprese ed esperti del settore, per contribuire a una transizione green sempre più sostenibile e a una valorizzazione del bio nel piatto.
“In Piemonte sono oltre 50 mila gli ettari ad oggi coltivati con metodo biologico e le produzioni riguardano soprattutto colture da foraggio, prati, cereali, frutta e vite. Molto richiesto a livello internazionale, poi, è il vino biologico piemontese, che conta oltre 3 mila operatori certificati biologici– spiega il delegato confederale Bruno Rivarossa.
E ad Asti piacer ricordare che il primo vino biologico italiano è stato, nel 1992, il Moscato di Gianfranco Torelli (foto) di Bubbio, affinato nel crutin della vecchia cantina dei bisnonni costruita nel 1893 in pietra di Langa.
Il vino Moscato è una produzione di larga tradizione in Piemonte. Se ne ha traccia già nel 1606 (prima dello Champagne), con documenti che riportano come si produce il vino buono che, per l’epoca, era il vino dolce prodotto, prevalentemente, con l’uva moscatello.
“Ancora oggi, pur ricorrendo a moderne strumentazioni, seguiamo lo stesso principio di lavorazione messo a punto da Giovan Battista Croce nel XVII secolo” spiega Torelli.
Ma primati e novità non finiscono qui. “Da quest’anno entrano in società il Canelli docg Moscato e il Canelli docg Riserva” prosegue Torelli. “Nel cuore dell’area di produzione dei 51 Comuni, sono 17 quelli che producono Moscato proveniente da un terreno ricco di argille e di marne, che ne esaltano il profumo, per originare questo grande vino aromatico, forte di un terroir unico”.
Nel Crutin di affinamento a Bubbio, accanto al fresco e fragrante Canelli docg Moscato c’è la Riserva (dal 2012), il cui invecchiamento è caratterizzato dalla terziarizzazione degli aromi, come i vini da grande invecchiamento, quindi, profumi che ricordano pesca, albicocca, miele e idrocarburi come riesling alsaziani, ideali anche con la cucina orientale o con la pizza.
Attualmente gli ettari iscritti a Canelli docg sono 380 e la produzione potenziale potrebbe superare i 3 milioni di bottiglie/anno, ma per ora, Torelli punta al primo milione di bottiglie, confidando nell’approvazione dei consumatori. A creare ancora più appeal, anche per i winelowers, sarà sapere che l’affinamento avverrà per tre anni nelle cantine del vecchio monastero di Santa Giulia a Monastero Bormida.
“I risultati del biologico confermano l’impegno degli agricoltori italiani per la sostenibilità, ma anche la capacità imprenditoriale nel rispondere alle nuove domande dei consumatori per prodotti che rispettano l’ambiente, di alta qualità e legati al territorio” osserva il Presidente Coldiretti Asti Monica Monticone.
“Il biologico sta già dimostrando di essere una risposta alle sfide attuali per una maggiore sostenibilità economica ambientale e sociale” prosegue il Direttore Coldiretti Asti Diego Furia. “È necessario però ricentrarlo nella sua dimensione agricola, legarlo saldamente al territorio di produzione ed affrontare un processo di evoluzione nel sistema di certificazione, che possa essere sempre di più garante di un modello produttivo attento all’ambiente e alle persone”.