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Il tartufo alla fiera di Canelli
Attualità

Il secco “no” dei trifulau all’uso generalizzato del marchio del tartufo

La proposta di unire il tartufo italiano sotto due denominazioni, “d’Alba” e “di Acqualagna”, fa discutere. Il tutto è contenuto in un disegno di legge che presto arriverà in Senato

No all’uso generalizzato del marchio del tartufo

La proposta di unire il tartufo italiano sotto due denominazioni, “d’Alba” e “di Acqualagna”, fa discutere.
Il tutto è contenuto in un disegno di legge che presto arriverà in Senato, destinato negli intenti dei legislatori a mettere d’accordo il variegato mondo della cerca del Tuber Magnatum Pico. Documento che fa una summa dei testi presentati sull’argomento da Mino Taricco, Pd, Francesco Mollame, M5S, e Giorgio Maria Bergesio della Lega.  La legge, se verrà approvata, consentirà di agglomerare il “Tartufo Bianco d’Alba” come marchio commerciale indipendentemente dalla zona in cui è stato raccolto. Ed è subito scattato il distinguo. Da parte della politica, con il senatore di Forza Italia, e sindaco di Priocca, Marco Perosino al quale non piace l’idea di consentire di utilizzare la dicitura “d’Alba” a tutta l’Italia.

Rischio appiattimento della qualità

Se così fosse si correrebbe il rischio di un appiattimento della qualità con un taglio al valore commerciale della trifola autoctona. Il suggerimento di Perosino è quello di creare una dicitura “Tartufo bianco d’Italia” per tutti i funghi ipogei bianchi e “di Alba” per quelli raccolti nell’area oggi già definita come marchio a valore aggiunto.Il mugugno è serpeggiato anche tra i cercatori. Se n’è discusso domenica scorsa a margine dell’assemblea annuale dell’Associazione Trifulau di Canelli, uno dei più antichi e storici sodalizi del settore con una settantina di iscritti. Tema che ha appassionato più di un trifulau, raccogliendo un’unica, ferma posizione: la denominazione “Tartufo Bianco d’Alba” non si tocca.

Indicazione tipica della nostra area

Portavoce di un ragionamento «di buon senso» è Piercarlo Ferrero, presidente dell’associazione canellese e ristoratore. «La denominazione “di Alba”, che deve comprendere anche Roero e Monferrato e che noi proponiamo acquisisca anche queste due porzioni geografiche nel nome, deve rimanere come indicazione tipica della nostra area. E’ sinonimo di qualità, di difesa di un prodotto unico che, diversamente, verrebbe svilito e si perderebbe nella generalità».

Il profumo del tartufo

A sostegno della sua tesi Ferrero parte da un dato inoppugnabile: il profumo del tartufo.
«Quello raccolto nelle nostre colline ha un profumo tipico e inimitabile mentre nelle altre zone d’Italia ha un sentore olfattivo più aspro che, talvolta, si avvicina all’aglio. Non per nulla i gourmet e gli stranieri apprezzano il nostro prodotto proprio per l’afrore che sprigiona, dolce e di bosco ma molto intenso e piacevole».

Una solida tradizione

Non solo campanilismo, dunque, ma una ben solida e storica tradizione fatta di profumi e sapori «che, diversamente, annegherebbero nel mare magnum dell’omogeneità. In nome di che cosa, poi? Abbiamo un prodotto unico, difendiamolo e promuoviamolo» chiosa Piercarlo Ferrero. Sulla ritenuta di 100 euro che permette al cercatore di non emettere fatture o ricevute sino a 7 mila euro, Ferrero è chiaro: «Sosteniamo questa impostazione: la nostra associazione approva l’iniziativa che va a favore dei cercatori».

Ora sulle tavole c’è il tartufo nero

Se il bianco, adesso, è in letargo, a far da padrone sulle tavole è il nero pregiato che in queste lande va sotto il nome di “Moscato”, varietà del brumale ma con note molto intense. La stagione è appena agli inizi anche se le prime “buttate” fanno ben sperare. Ancora Piercarlo Ferrero. «Il prodotto è ancora scarso, ma comunque sufficiente per accontentare una clientela che, sempre di più, si avvicina a questa tipologia di tartufo». Ad apprezzarlo sono soprattutto i gourmet stranieri, mentre non raggiunge l’apice tra i consumatori nostrani.
A spiegarne l’utilizzo in cucina è lo stesso Ferrero, specialità che al “San Marco” trova spazio in una serie di ricette a tutto tondo.
«La nostra tradizione vuole il nero, soprattutto il Moscatum, impiegato cotto ad esempio nella preparazione di carrè d’agnello o nei brasati. La clientela straniera, invece, lo apprezza molto anche crudo sulle tagliatelle o la battuta di fassona al coltello». Ottimo consumato con la bagna cauda. «Se nell’intingolo immergiamo un uovo pochet e lo cospargiamo di lamelle di nero è, come si suol dire, la morte sua».

Giovanni Vassallo

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