Era stato eletto primo cittadino pochi mesi prima e a tutto pensava tranne di passare alla storia come "il sindaco dell'alluvione". Alberto Bianchino, oggi assessore ai Lavori Pubblici e
Era stato eletto primo cittadino pochi mesi prima e a tutto pensava tranne di passare alla storia come "il sindaco dell'alluvione". Alberto Bianchino, oggi assessore ai Lavori Pubblici e al Bilancio, fu uno dei principali protagonisti di quell'evento eccezionale.
Qual è il primo ricordo che le viene in mente ripensando a quel drammatico novembre di 20 anni fa?
C'è un particolare che mi viene in mente: il lunedì prima che avvenisse il disastro mi recai a Revignano ad un incontro con i cittadini. Molti chiedevano di costruire una tangenziale intorno al nucleo abitato. Lì per lì spiegai loro che non era possibile farla perché una strada di quel tipo sarebbe andata a confliggere con la possibilità, fino allora teorica, che il Borbore esondasse. Mi ricordo che ebbi qualche difficoltà a spiegare le mie ragioni anche se i tecnici stessi confermano le mie parole. Uscendo da quell'incontro ero confuso ma la risposta ai miei dubbi la ottenni il sabato dopo, 5 novembre, quando l'area intorno a Revignano venne transennata perché il Borbore era già uscito da un pezzo.
Altri ricordi di quel giorno?
Mi è capitato di essere "dentro l'evento" e quindi rivedo piazza del Palio come se fosse il lago di Garda. Un'altra immagine che ho ancora ben chiara è quando siamo stati sul ponte di viale don Bianco, molto diverso da quello che c'è oggi: qui, sulla sponda sinistra, si vedeva l'acqua del Borbore che defluiva fino a piazza del Palio. Davanti a questi eventi, essere cittadini o sindaci non cambia nulla perché puoi solo cercare di limitare i danni.
A quel tempo, oltre ai giornali, c'era solo la televisione a documentare l'alluvione. Niente internet, niente social network né telefonini che potessero riprendere in diretta la tragedia.
Sì, in effetti, sebbene i miei ricordi siano più legati alle questioni degli argini che ad altro, mi ricordo i tanti cittadini accorsi sul ponte di corso Savona per vedere la potenza del fiume. Molti forzarono il posto di blocco pur di passare ugualmente sul ponte anche perché, oggettivamente, non c'erano le forze per impedire che i cittadini andassero oltre.
La macchina comunale ha lavorato senza sosta ma non si possono dimenticare i tanti, tantissimi, volontari che si sono messi a spalare il fango in una città in ginocchio.
In quel periodo non avevamo ingegneri idraulici in Comune ma tanti ragazzi di buona volontà che, ognuno nel proprio settore, fecero di tutto per contrastare l'emergenza. Il secondo giorno dopo l'alluvione la città era già stata divisa in settori d'intervento e ogni settore aveva un geometra il quale, coperto dal "potere assoluto" del sindaco, poteva fare… e fece. In quel frangente non ci fu la frattura tra cittadino e burocrazia.Un esempio? Dopo due giorni dall'alluvione la tangenziale era già stata riaperta.
Prima le persone e la messa in sicurezza della città, poi tutto il resto. E' andata così?
Dopo pochissimo dall'evento, i massimi dirigenti del Comune mi informarono che eravamo già fuori di diversi miliardi e mi chiesero cosa volessi fare. Dissi che saremmo andati avanti comunque a fare ciò che andava fatto. Abbiamo speso senza la sicurezza di avere la copertura; poi, però, ci siamo anche mossi bene sul piano politico/amministrativo insieme agli altri enti locali. Alla fine siamo anche riusciti a ridare allo Stato una grossa cifra non utilizzata.
Qual è la lezione più importante che ha imparato dall'alluvione del 1994?
Il più grosso problema di Asti fu lo sbancamento della ferrovia per Isola da cui il fiume Tanaro riuscì ad entrare in città. Una cosa che ho capito è che il controllo delle acque si può fare solo su un territorio molto ampio e non a livello comunale perché, altrimenti, si ha già perso.
Oggi il Tanaro può ancora colpire come 20 anni fa?
Oggi la città è in sicurezza rispetto al fiume perché, nel 1994, il Tanaro fu costretto a passare dentro un imbuto. Oggi la quantità d'acqua passata durante l'alluvione ?94 potrebbe defluire senza problemi mentre potremmo avere un rischio solo se avvenisse un evento con una portata d'acqua superiore a 3.500 metri cubi al secondo. Anche se fossero aperti tutti i bacini del Tanaro penso che non arriveremmo a toccare i 300 metri cubi al secondo e quindi non ci accorgeremmo neanche del fatto. A suo tempo, invece, ci fu la rottura di dighe artificiali, cioè opere costruite dall'uomo, che causarono il grosso dell'evento.
Lei ha un aneddoto sul fatto che l'esondazione potesse essere in qualche modo prevedibile. Lo vuole ricordare?
Nel pomeriggio prima dell'alluvione sul ponte di corso Savona si sentiva odore di gasolio e questo significava che, a monte, il fiume era già uscito dagli argini. Essendo già uscito a monte, poteva esondare anche a valle, come in effetti avvenne.
Sono state fatte tutte le opere necessarie per mettere in sicurezza la città?
La città è sicura, come ho detto, ma c'è sempre qualcosa che si può ancora fare. Se avessi le risorse dividerei le acque bianche da quelle nere riportando quelle bianche nel fiume. Un ritorno alla distribuzione più articolata della raccolta dell'acqua potrebbe migliorare la situazione e, parlando di opere, le casse di laminazione a nord della città non sono state costruite solo perché non ci sono state le risorse. Per quanto riguarda gli argini sono convinto che debbano essere spondali dove necessario ma anche di golena dove possibile, permettendo al fiume di allargarsi. Credo, infatti, che prima e dopo la città il fiume debba avere la possibilità di espandersi.
Ha qualche rimpianto che si porta dietro?
Io non rimpiango nulla ma sono sempre convinto di non fare mai abbastanza anche se guardo sempre avanti. Certo, ripensando a quello che è stato, credo di aver operato abbastanza bene e non ho grossi rimpianti perché, in quei giorni, abbiamo dovuto fare scelte difficili. L'esperienza mi ha dato tantissimo sul piano umano e non sono mai stato solo. Diciamo che abbiamo gestito il problema in "maniera sabauda" facendo ciò che andava fatto. Sono stato il sindaco dell'alluvione ma anche della ricostruzione. Ho una paura però…
Quale?
Durante l'alluvione abbiamo lavorato solo con telefoni e fax. Oggi c'è un eccesso di tecnologia sulla quale si fa affidamento per affrontare ogni emergenza, alluvioni comprese. La mia paura è che questo aumento della tecnologia si scontri, improvvisamente, con la mancanza della stessa. Io investii 60 milioni di lire per mettere un idrometro prima di Farigliano, a Lesegno. Uno strumento che, al di là di tutta la poca tecnologia di allora, poteva dare indicazioni certe sulla portata del fiume Tanaro.
Riccardo Santagati