Un battito di ciglia e la tua vita cambia. E con la tua anche quella di tutta la tua famiglia. Nei giorni in cui si parla di sicurezza sul lavoro e, contemporaneamente e tristemente la cronaca la riporta di stretta attualità, abbiamo raccolto la testimonianza di una persona che sta attraversando quel calvario.
Massimo Cavallero, 54 anni, di Nizza Monferrato tre anni fa ha subito un infortunio nell’azienda metalmeccanica nella quale lavorava dal 1986.
«In quella fabbrica ho ricoperto un po’ tutte le mansioni, nel corso di tanti anni, e avevo imparato a lavorare su tutte le macchine. L’infortunio è avvenuto su una fresa, priva di protezioni il cui disco mi ha agganciato il camice e tirato dentro il braccio destro che ne è uscito maciullato».
Un infortunio molto invalidante per un uomo di appena 51 anni che è stato assente dal lavoro per oltre 2 anni e mezzo per essere sottoposto a numerosi e dolorosi interventi con una eterna fisioterapia.
«E nonostante interventi ed esercizi, io ho il polso rigido, la mia mano destra afferra poco e non ha forza, non riesco a scrivere, per mangiare adopero solo la sinistra e l’uso del coltello mi è quasi impossibile – racconta Massimo che però ricorda bene come era la sua vita prima dell’infortunio – Andavo in moto, da 30 anni praticavo il karate, in casa ero un “tuttofare” capace di costruire mobili, fare riparazioni, manutenzioni, curavo il giardino, mi occupavo di mia moglie e dei miei due figli. L’incidente non solo ha interrotto tutto questo, ma ha costretto gli altri ad occuparsi di me».
La moglie accanto sorride con tenerezza e scuote la testa per minimizzare, per non far trapelare il peso di questi tre anni, ma sa che l’infortunio è stato uno tsunami su tutta la famiglia. Le preoccupazioni nei giorni immediatamente seguenti l’incidente, i tanti interventi, gli innumerevoli viaggi a Torino per visite, fisioterapie, ricoveri ospedalieri, il lavoro perso per seguire marito e famiglia.
«Sono tornato a lavorare nella stessa azienda, con altre mansioni e ora ci sono tutte le cause ancora in corso – afferma Cavallero – Ma dentro resta una grande amarezza, quella di aver dato tutto in questi lunghi anni, di aver lavorato come se l’azienda fosse mia ed essermi reso conto che dall’altra parte non è stata fatta l’unica cosa importante, ovvero non è stata garantita la mia sicurezza. E non basteranno i risarcimenti a restituirmi il mio braccio, nessuno mi restituirà la mia vita di prima, nessuno pagherà quello che io e la mia famiglia abbiamo passato e continuiamo a passare».
Ma Cavallero riesce anche oggi a vedere il lato positivo di quanto accaduto. «Frequentando così assiduamente il Cto mi sono trovato spesso vicino a persone in condizioni peggiori delle mie». Cosa dire a giovani colleghi che si affacciano al mondo del lavoro? «Ragazzi, non c’è nulla al mondo che ripaghi la salute e l’integrità fisica. Nulla, neppure una busta paga “pesante”. Fate rispettare il vostro diritto alla sicurezza».