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La Bottega del Mondo compie 13 anni e fa un bilancio sull’interesse verso il bio ed equosolidale: concetto “svuotato” da chi se ne riempie la bocca

In cerca di collaborazioni con enti, istituzioni ed amministrazioni locali. Ma senza risposte. Crisi e cambiamento climatico fa chiudere molte aziende della filiera

Un bilancio a tinte forti dove, purtroppo, a prevalere sono gli “scuri” di un momento di profondo cambiamento per la rete delle Botteghe del Mondo.

A tracciarlo sono Giulia Grosso, presidente della Cooperativa Della Rava e della Fava e il suo coordinatore Paolo Fiscelli. Un nome, quello della Rava e della Fava che da 37 anni accompagna gli astigiani più sensibili e consapevoli in acquisti sani ma anche equi e solidali. Partita con la proposta di prodotti provenienti dal Sud del mondo, negli anni si è sempre più aperta anche alle realtà di agricoltura bio ma anche di aziende dalla buona impronta sociale locali.

Mai solo negozi e commessi: la caratteristica della Cooperativa e della Bottega Altromercato è sempre stata quella di informare e di far comprendere perché era importante acquistare quella determinata marca di caffè o di biscotti o perché sostenere quella filiera piuttosto che un’altra. Sempre, dietro ogni prodotto, era tracciata e tracciabile la storia di rivincita sulla povertà che la sosteneva.

Eppure, al  13.mo compleanno della Bottega, emanazione della Cooperativa, dopo tanti anni di sviluppo e crescita, il bilancio parla di “mantenimento”. E pure a fatica.

Tanti i fattori che concorrono a questo stallo. E quello economico, contrariamente a quello che si pensa, è fra gli ultimi.

«Asti, pur subendo come tutta l’Italia il peso della crisi, potrebbe ancora tranquillamente sostenere i nostri negozi e la scelta di acquistare prodotti locali o quelli da cooperative sociali di tutto il mondo che hanno nella filiera equosolidale la loro unica occasione di riscatto verso le multinazionali che impongono compensi da fame – spiega Fiscelli – ma, semplicemente, non lo fa. Il nostro fatturato è equiparabile a quello di una pari Bottega di una provincia come quella di Enna o di una qualsiasi altra città del Sud molto più povera di Asti».

Paradossalmente è proprio il tanto parlare di “green”, di “bio”, di “sostenibilità” e di sfruttamento dei migranti a tutti i livelli ad aver svuotato o banalizzato l’attività di chi quelle parole le conosce bene e le presenta da quasi quarant’anni.

Perché alla fine, le persone, pur conoscendo gli argomenti, non fanno nulla di concreto nelle loro azioni quotidiane, neppure un solo acquisto che vada realmente a cambiare la situazione di queste persone.

La spinta individualista che sta caratterizzando questa epoca storica si riflette anche in queste decisioni egoistiche proprio quando c’è più consapevolezza che in passato sul fatto che anche facendo la spesa si può cambiare un pezzetto di mondo.

Una spinta che si riverbera anche nella penuria di volontari, alla Bottega come in tutto il terzo settore attraversato da una profonda “crisi di vocazioni”.

E, come se non bastasse, ci si mette anche il cambiamento climatico a complicare ancora di più la vita di chi coltiva la terra. Nel Sud del mondo come sulle colline intorno ad Asti.

Proprio la presidente Giulia Grosso ha elencato una serie di aziende biologiche che non ce l’hanno fatta a superare crisi Covid e cambio climatico. Aziende anche astigiane, che negli anni erano riuscite ad affermarsi per la professionalità e la qualità dei loro prodotti.

«Noi idee ne avremmo anche tante per tenere su il comparto – spiega ancora la presidente – ma da soli non possiamo farlo. Servono interazioni con altri enti del territorio, amministrazioni locali, istituzioni che possono portare forze, risorse ed idee. Pronti a confrontarci con chiunque voglia perseguire il sostegno al mondo biologico ed equosolidale, ma intorno abbiamo il vuoto».

Dal direttore arriva una velata critica alle scelte strategiche del territorio: «Non di solo vino vive la gente – dice Paolo Fiscelli – pur riconoscendo l’importanza economica, storica e culturale della coltivazione della vite sulle nostre colline, non si può rinunciare alla biodiversità data dalle moltissime altre colture tipiche di queste zone. Eppure sta capitando e questa cosa non viene frenata, non viene capita e anzi viene ancora incentivata».

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