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Il presidente del Consiglio comunale Giovanni Boccia
Attualità

La “formula” di Boccia per una politica che ascolta

Il presidente del Consiglio comunale Giovanni Boccia è probabilmente il politico che più di altri ha visto cambiare nel tempo il rapporto degli astigiani con l’istituzione

Il bilancio del primo anno di Consiglio

Arbitro al di sopra delle parti, chiamato a gestire i lavori del Consiglio comunale, Giovanni Boccia è probabilmente il politico che più di altri ha visto cambiare nel tempo il rapporto degli astigiani con l’istituzione elettiva di piazza San Secondo. Dal 14 luglio 2017, giorno del primo Consiglio dell’amministrazione Rasero, Boccia ha convocato 25 sedute (di cui 4 aperte) durante le quali sono state approvate 72 delibere, 8 ordini del giorno, trattate 42 interrogazioni e discusse 7 mozioni. Eppure il Consiglio, rispetto al periodo della grande partecipazione tra gli anni ‘70 e i primi anni ‘90, ha perso il suo appeal diventando un luogo per pochi intimi, di solito i consiglieri comunali passati da 40 a 32.

Una bella differenza nei numeri degli eletti che va di pari passo con la disaffezione dei cittadini verso questa forma di governo. Cos’è cambiato?

Visivamente sono 8 consiglieri in meno, ma questo è anche il segno dei tempi. Una volta non c’era tutta questa trasparenza che c’è oggi, anche grazie al sito del Comune dove si pubblicano tutti gli atti amministrativi. I cittadini sono molto più informati grazie a internet, Facebook, ma c’è anche da dire che la pratiche discusse non mettono proprio allegria perché, spesso, sono tecniche. D’altro canto non possiamo certo obbligare la gente a venire in Consiglio.

La minoranza accusa il sindaco di metodi dittatoriali, di non essere coinvolta prima che si prendano le decisioni in aula, di solito con il voto della maggioranza. Il presidente del Consiglio come replica?

I posso fornire spiegazioni sulla gestione tecnica dell’aula, per il resto possono lamentarsi con il sindaco. Però la macchina del Consiglio ha funzionato e per questo ringrazio anche l’opposizione per aver collaborato non mettendo in atto atteggiamenti ostruzionistici.

Non crede che in politica stiano tornado di moda gli uomini soli al comando. L’autorevolezza va a braccetto con l’autorità?

Un sindaco non deve mai essere autoritario, ma autorevole. Neanche i ministri devono porsi con atteggiamenti autoritari, ma qui entra in gioco anche la preparazione di molti politici, che manca, come mancano la gavetta e le scuole politiche tipo quelle organizzate dal Partito Comunista o dalla Democrazia Cristiana. Senza tutto questo non mi meraviglio che ci siano parlamentari che ignorino cosa sia un’interrogazione o come funzionino i lavori istituzionali.

In politica l’opposizione contro il sistema, sempre e comunque, paga in termini di popolarità?

Quel tipo di opposizione non è utile, né buona, perché l’opposizione dev’essere costruttiva, ma da 20 anni vediamo che la scontro tra le parti si limita a dire che una decisione è sempre sbagliata, a prescindere. In Consiglio comunale questo accade, però, molto meno.

Esiste una formula per avere un buon rapporto con i consiglieri di minoranza?

Ascoltarli e andare incontro alle loro esigenze interpretando il Regolamento sempre e comunque in loro favore. Questo, unito all’estrema correttezza di tutti gli eletti, crea un clima collaborativo.

Tornando al consenso, quanto influiscono i social network?

Questi famigerati social sono strumenti che aiutano tantissimo a creare il consenso, ma poi ecco che saltano fuori le fake news che lo alimentano su affermazioni non vere. Eppure moltissimi le condividono per antipatia degli avversari, anche senza pensarci. Quindi, spiace dirlo, ma la cattiva politica crea consenso.

Nelle ultime settimane si sono registrati numerosi casi di razzismo. Asti è ancora immune o teme una recrudescenza anche da noi?

E’ vero, i casi di razzismo sono aumentati, ma sono stati favoriti anche da taluni comportamenti, seppur sporadici, di certi immigrati. Ad Asti non siamo ancora a livello di guardia, ma credo sia necessario un continuo monitoraggio ad esempio su quanto succede nella zona di corso Matteotti e della stazione.

Il sindaco Rasero ha lanciato la proposta di far diventare Asti “la città del rispetto”. Evidentemente non ce n’è abbastanza.

Plaudo all’iniziativa del sindaco e sono d’accordo. Una città più rispettosa del prossimo è un luogo dove si vive meglio e che può anche attrarre degli imprenditori interessati a investire. Inoltre l’iniziativa non comporta grossi costi per l’Ente, quindi ben venga.

In qualità di presidente del Consiglio deve fare l’arbitro, non può scendere nell’arena della politica attiva, ma se fosse un consigliere di maggioranza in prima linea quali battaglie porterebbe avanti? Ci sono momenti nei quali vorrebbe entrare nel dibattito, ma si trattiene?

Avrei un occhio di attenzione ai problemi dell’ambiente e lavorerei per una città più salubre, per avere mezzi pubblici meno inquinanti anche perché le morti dovute allo smog sono in crescita e di certo il problema dev’essere affrontato nell’interesse di tutti. Per quanto riguarda il resto: sì, ci sono momenti in cui mi sforzo parecchio a stare zitto, vorrei intervenire, ma non posso, né posto su Facebook.

Lei viaggia spesso in Africa e conosce molto bene la situazione di molti Paesi dai quali partono i richiedenti asilo che arrivano in Italia Facciamo un po’ di chiarezza sul tema?

Potremmo parlarne a lungo.

Partiamo da Asti: i richiedenti continuano ad essere numerosi?

Ad Asti ci sono troppi richiedenti asilo, ma lo dicono i numeri dal momento che abbiamo superato la quota dei 2,5 ogni 1.000 abitanti. L’accoglienza, parlo a livello nazionale, è stata gestita male ed è stata fallimentare perché le cooperative, che si occupano dei richiedenti asilo, hanno evidentemente sottovalutato l’impatto che i profughi avrebbero avuto sulla società.

Da anni, anche contattando molte istituzioni e ministeri, lei propone una soluzione che potrebbe cambiare la questione migranti. Ce la spiega in poche parole?

Tanto per iniziare è pura follia pensare di creare altri hotspot per migranti nei Paesi africani oppure dare loro molti soldi per gestire l’emergenza. Purtroppo in molti Paesi da cui partono i migranti non c’è tutta questa trasparenza nelle istituzioni, tanto che i più preferiscono avventurarsi nel deserto, dove si muore più che nel mare, anziché rivolgersi agli uffici statali preposti. La soluzione sarebbe usare tutti i consolati dei Paesi dell’Unione Europea come primo punto di richiesta del diritto d’asilo. Sono numerosi, le domande verrebbero lavorate in pochi mesi, non anni, e se accettate dovrebbero garantire l’incolumità dei richiedenti dando loro lo status di rifugiati prima di arrivare in uno dei Paesi europei, non solo in Italia, tramite voli sicuri.

Così tutti i Paesi europei agirebbero con gli stessi doveri di accoglienza?

Sì, ma è indispensabile anche firmare accordi bilaterali tra tutti gli stati europei e i Paesi africani così da gestire i rimpatri a livello di Unione e non a seconda dello stato dove avviene l’espulsione.

Espulsione che in Italia si limita, il più delle volte, a un foglio di via del tutto inefficace.

Come si può pensare che un clandestino torni nel suo Paese d’origine, ammesso che lo accettino, cosa per nulla scontata, semplicemente dandogli un pezzo di carta che gli intima di lasciare l’Italia entro pochi giorni. Quello inizierà a muoversi da una città all’altra per sfuggire ai controlli, come gli africani che da Torino arrivano ad Asti per trascorrere il giorno sulle panchine del parco. Un atteggiamento che porta il cittadino ad indignarsi e quindi fa aumentare la tensione su questi temi.

Ma ci sarà una via d’uscita?

Se ne uscirà aiutandoli in loco, impedendo loro di arrivare in Libia, dove vengono incarcerati prima di partire, perdendo tutto ciò che hanno, ma anche adottando certe politiche che mostrano i muscoli e quindi scoraggiano nuovi arrivi. Sebbene questa non sia l’unica soluzione.

Un’ultima domanda: quale libro suggerirebbe di leggere ai consiglieri comunali durante le vacanze?

Io leggo soprattutto la Bibbia e le biografie dei santi, ma consiglio di leggere “I promessi sposi” per via dell’alta forma linguistica dal momento che qualcuno, ogni tanto, stermina i congiuntivi. Oppure “Le memorie di Don Bosco” attraverso le quali ti rendi conto che la provvidenza esiste.

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