«Il mio primo ricordo è un pezzo di legno che battevo su un gradino di casa, a Refrancore. Avrò avuto tre anni, e ricordo che mia madre mi diceva di piantarla e io le rispondevo che stavo finendo la marcia della banda del paese. Poi nella banda ci sono entrato davvero. Volevo la tromba e mi hanno rifilato il trombone, un coso lungo con cui potevo fare solo l’accompagnamento. Pensare che lo detestavo»: così qualche mese fa, in «diretta» dalla sua casa di Roma, Dino Piana, intervistato dall’amico Armando Brignolo alla presentazione di un numero della rivista di Storia e storie Astigiani. E nell’occasione regalò anche un pezzo della sua bravura musicale.
Dino Piana, un importante capitolo della storia jazz non solo italiana, si è spento nella notte fra domenica 6 e lunedì 7 nella sua casa di Roma. Aveva 93 anni: nato in una famiglia di pasticceri, a Refrancore, fin da piccolo aveva dimostrato una spiccata propensione per le sette note. Dal suo album dei ricordi (riportati anche in un bel libro scritto da Armando Brignolo) spunta un altro aneddoto: erano gli ultimi mesi della guerra, a Refrancore c’è un rastrellamento di tedeschi e fascisti. Entrano a casa Piana, cercano i partigiani. In quel momento c’è solo Dino con il nonno. L’ufficiale tedesco vede un pianoforte e chiede chi lo suona. Dino di botto si alza e si mette alla tastiera: «Suonavo la fisarmonica, mi arrangiavo con i tasti. Non so come, ho improvvisato Lili Marleen, il tedesco si è commosso e se ne è andato».
Da quel giorno Dino Piana di strada (musicale) ne ha fatta: alternando lavoretti per mantenersi, si inserisce nel mondo del jazz (ma anche delle balere), suonando all’inizio in una band con un giovanissimo Paolo Conte e poi con Gianni Basso. Nel 1959 partecipa alla «Coppa del jazz» (iscritto quasi a sua inaputa da un altro jazzista di queste parti, l’alessandrino Gianni Coscia) un importante evento radiofonico, nel quale si mette in luce come solista, vincendo il titolo. Di lì in avanti è un crescendo di collaborazioni con grandi nomi della scena internazionale.
Arriva la chiamata a Roma nell’orchestra tv di Gorni Kramer. «Mi ricordo quel giorno: dissi a Kramer: io non so leggere la musica. Ma lui mi fece suonare lo stesso». Il suo nome inizia a girare: lo chiamano a suonare con Chet Baker, Charlie Mingus, Kenny Clarke, Enrico Rava con il quale nasce un’amicizia durata decenni. Ma il nome di Piana è legata al sodalizio con Valdambrini e poi con Gianni Basso. Ad un certo punto a lui si è unito il figlio Franco, in un gruppo che è diventato tra i principali riferimenti jazz in Italia. Senza però mai dimenticare la sua Refrancore, dove, almeno sino a pochi anni fa, tornava per suonare ad inizio agosto nella festa del paese.