Allevamenti di Alta Langa
E’ uno dei piatti tradizionali della Pasqua al quale non si può rinunciare. A meno che lo stop non arrivi dal coronavirus che, da più di un mese, ha messo il bavaglio a buona parte delle imprese commerciali. Ma, seppur con le limitazioni imposte sugli spostamenti, nel pranzo della domenica di Resurrezione non può mancare il capretto. Meglio se nostrano, allevato nelle stalle dell’Alta Langa e in tutta la Valle Bormida.

Totale tracciabilità
In Piemonte la filiera ovina conta 122 mila capi per oltre 2 mila aziende, quella caprina più di 67 mila capi e oltre 3 mila aziende. C’è un ente che tutela queste produzioni, il Consorzio allevatori caprini del Piemonte presieduto dall’astigiano Simone Grappiolo. «Il consorzio garantisce l’alta qualità di un prodotto unico di cui possiamo assicurare la tracciabilità al consumatore» spiega Grappiolo. Il capretto Piemonte viene allevato per 60 giorni ed ha un peso variabile da 11 a 16 chilogrammi.
Carne a basso contenuto di grassi
La carne è delicata, gustosa e facilmente digeribile grazie ad un basso contenuto di grassi. «Prediligere la carne ovicaprina piemontese deve essere un obiettivo primario in questo periodo di forte consumo in vista della Pasqua, ma non soltanto. Col marchio identificativo, oltretutto, siamo in grado di offrire un prodotto che porta con sé il legame col territorio e dà valore al lavoro svolto dagli allevatori – dicono Marco Reggio presidente di Coldiretti Asti e il direttore Diego Furia -. Quello ovicaprino è un comparto che vede sul mercato prodotti importati da tutto il mondo. Per questo dobbiamo ancor più difendere ed incentivare il consumo delle nostre produzioni per far crescere economicamente il comparto, aumentare la qualità delle produzioni e tutelarle attraverso la difesa delle denominazioni, sia a livello nazionale sia europeo».