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Libera Asti affronta il rapporto tra “giovani e crimine” per approfondire il fenomeno e ipotizzare soluzioni

Un uditorio numeroso e attento ha seguito con grande interesse gli interventi dei tre relatori che hanno affrontato il tema da prospettive diverse, ma complementari

“Giovani e crimine” era l’argomento del primo incontro del corso di formazione di Libera Asti, iniziato il 5 novembre, organizzato col sostegno di Acli Asti dal titolo “Giovani e violenza. Ricerca di senso, educazione all’etica e ai diritti” rivolto agli insegnanti e aperto alla cittadinanza. Un uditorio numeroso e attento ha seguito con grande interesse gli interventi dei tre relatori che hanno affrontato il tema da prospettive diverse, ma complementari, partendo dal comune presupposto che si tratti di un fenomeno dalle motivazioni complesse su cui devono lavorare diversi specialisti.

Chiara Davico, neuropsichiatra e ricercatrice all’ospedale Infantile Regina Margherita che si occupa di adolescenti con acuta e grave psicopatologia, ha rivelato che nei paesi ricchi si sta affrontando un problema sempre più diffuso di salute mentale.I ragazzi risultano meno equipaggiati ad affrontare le difficoltà quotidiane e l’ansia diventa la risposta più immediata a esperienze impegnative, in primo luogo nell’ambiente scolastico che percepiscono come particolarmente ostile. Alla base di questa fragilità si può individuare una correlazione di fattori biologici e psicologici ma anche sociali, come i cambiamenti delle strutture familiari, l’accesso ai social, l’aumento delle disuguaglianze, l’incertezza geopolitica collegata alle guerre. Sul piano medico è fondamentale l’intercettazione precoce dei disturbi ma prima ancora dell’aspetto psichiatrico, la prevenzione deve avvenire sul piano della comunità con un lavoro sulla cura da parte di adulti responsabili, capaci di creare connessioni significative.

«La criminalità esercita sugli adolescenti un fascino pericoloso – sostiene Salvatore Inguì, assistente sociale dell’USSM di Trapani, già direttore dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo – e noi adulti dobbiamo trovare modelli maggiormente affascinanti e seduttivi su cui costruire il cambiamento». È quello che Inguì ha sperimentato in questi anni attraverso il suo progetto “Amunì” (espressione siciliana che significa “andiamo”, “diamoci una mossa”), che offre esperienze di crescita significative e motivanti a ragazzi coinvolti in procedimenti penali. Esperienze con elementi di rischio, avventura, gratificazioni, come i viaggi solidali che aiutano il giovane a riconoscersi in un’identità diversa, una nuova visibilità positiva non più legata al gesto violento spettacolarizzato ed esibito sui social per dimostrare di esistere.

Per Mario Schermi, formatore dell’Istituto Centrale di Formazione, Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, la violenza viaggia su tre costrutti relazionali che sono l’individualismo radicale, le mafie e i fascismi. Le stesse mafie, al di là della loro oleografica rappresentazione come semplici organizzazioni criminali, sviluppano un discorso pedagogico basato su alcuni elementi fondanti: un’identità forte che non ammette alterità, il disprezzo per ogni differenza, la persecuzione degli omosessuali, l’annichilimento del dissenso, l’agire prepotente. Smascherare la pedagogia mafiosa è il punto di partenza per costruire una pedagogia civile basata sul rilancio del senso dell’umanità, sul riconoscimento dell’altro, nell’orizzonte di una crescita plurale e democratica.

Il secondo incontro sulla “Giustizia minorile” si terrà mercoledì 12 novembre nella Sala dei Congressi della Fondazione Goria, in piazza San Martino 11.

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