Tutti i giornali hanno riportato il caso dell'opera d'arte (si fa per dire) allestita al museo di Arte contemporanea di Bolzano, intitolata "dove andiamo a ballare questa sera?" di
Tutti i giornali hanno riportato il caso dell'opera d'arte (si fa per dire) allestita al museo di Arte contemporanea di Bolzano, intitolata "dove andiamo a ballare questa sera?" di Galdschmied e Chiari, ripulita per sbaglio e gettata nei contenitori della raccolta differenziata, dagli addetti alle pulizie.
L'opera consisteva in bottiglie vuote, carta, mozziconi ecc. sparsi sul pavimento come se fossero i resti di una festa. Di questa installazione però, la critica è in grado di dire qualsiasi cosa: simboleggiava la solitudine dopo una festa, il bisogno di silenzio, la crisi del consumismo, un appello al consumo moderato di alcolici, l'invito ad un rigore monastico da contrapporre ai bagordi, l'energia vitale sprecata, l'espulsione degli ideali dalla quotidianità ecc. ecc. ecc., si può continuare per ore.
Rimane il fatto che, al senso comune, appariva come un disordine sporco da rimuovere. E' normale una cosa simile? Davvero gli esseri umani si dividono tra elevati interpreti di un'estetica raffinata e poveri pirla pronti a distruggere opere d'arte? Il caso non è nuovo, anzi ha precedenti illustri, possiamo citare la "Porta" di Marcel Duchamp esposta a Venezia e riverniciata dagli imbianchini o la vasca di Beuys riportata a nuovo per errore. Tutti ricordiamo le false teste di Modigliani scolpite da tre ragazzi geniali, gettate in mare e ripescate tra gli strilli di ammirazione dei più illustri critici italiani. Ricordo le loro parole profonde, intrise di filosofia, suonavano come ammonizioni contro l'ignoranza, l'incapacità dei cittadini ad apprezzare quelle meraviglie. Che però erano brutti, sgangherati e simpatici falsi!
Con quelle teste fu gettata in acqua la credibilità dei critici d'arte, la loro capacità di leggere ed interpretare l'arte figurativa, perciò costoro dovettero intraprendere altre strade. Da allora "l'opera" fu relegata ai margini del sistema dell'arte, perché nel momento in cui ci si rende conto di non essere in grado di capirla ed interpretarla si tende rimuoverla, a farla sparire. Fu sostituita con sperimentazioni, ipotesi di diversità, di originalità, di rottura, con trovate il cui vuoto potesse essere riempito da un universo di chiacchiere e divagazioni. L'effetto finale è la quasi scomparsa dell'opera sempre più ridotta a semplice provocazione o ad illustrazione del pensiero critico. Pensiero che diventa, anno dopo anno, un soliloquio vago, annebbiato, autoreferenziale e sinistro, perché, alla fine, è teso a sostenere una trovata, un prodotto, a formare un prezzo che deve stabilirne il valore.
La dissolvenza della centralità dell'opera d'arte sta provocando una disabitudine a guardare, ad analizzare veramente, una vertigine di senso e di percezione. Il pubblico si scopre solo e sbigottito, incapace di collegare ciò che vede alla razionalità, al buon senso necessario per tutto il resto della sua vita. Non riesce a credere che uno squalo, in una teca e sotto formaldeide possa costare 21 milioni di dollari e due milioni un taglio su di una tela bianca o rossa o 120 mila euro un barattolino di merda, sia pure di "artista". Questo tipo di prodotto ha bisogno quindi di un forte impianto di sostegno teorico, di intellettuali capaci di restituire un crisma di validità a quello che, alla fine, deve essere venduto! Perciò, questo impianto critico-teorico, risulta complesso, frammentato, distorto, ha bisogno di appoggi e sostegni, del soccorso dei vari saperi scientifici, sociologici, matematici, ecc. che diventano complici inconsci di una grande truffa.
E' sufficiente che un'insieme di corde e nastri di Thomas Saraceno affermi di rappresentare (?) la sequenza matematica della superficie sferica affinché sia subito elevato ad opera d'arte. Perché?
La "serie di Fibonacci" usata dovunque da Mario Mertz, cosa ha a che fare con l'arte? Oggi vediamo moltiplicarsi grandi mostre ed enormi cataloghi in cui la "pittura" è espulsa a favore di altre forme di creatività. Ricordiamoci sempre che anche il balletto e il linguaggio performativo sono forme squisite "ma non sono" pittura o scultura. Le arti figurative possono e debbono essere guardate e giudicate come un processo complesso che tende a "realizzare la compenetrazione tra il corpo dell'uomo e il mondo" attraverso una tecnica, una capacità. La pittura è la produzione di un sapere che si costituisce nell'occhio, nella mano, nel corpo del pittore e che realizza la fusione tra lo sguardo dello spettatore e il mondo o i mondi possibili. Vedere, rappresentare, è "concepire" quello che Hegel definì "lo splendore sensibile dell'idea"!
Oggi le biennali sono invase da installazioni simili a discariche, da animali in formaldeide, da sculture fumettistiche, da "eventi" e degrado. Baggianate chiamate arte solo dagli autori o dai critici interessati. Il sistema delle arti figurative è segnato da un drammatico declino, da rivoluzioni permanenti quanto ridicole, dalla tirannia del "nuovo" a tutti i costi. Un sistema funebre e venale che propone di continuo cose che, come ci dicono i critici, sono più "attuali", più "importanti", più "urgenti" e che però non sono "pittura" e forse nemmeno "arte". Una serie di pratiche tenute in piedi dall'uso spregiudicato e disinvolto di strumenti e discipline varie, come la filosofia, l'antropologia, la sociologia, la fisica ecc. per spiegarci, come minimo, il "senso della vita" o lo "spirito del tempo" nel coacervo di banali istallazioni e carabattole varie.
L'arte di questo tipo sfugge alla capacità del cittadino medio di dare un giudizio di merito, di attribuirne un valore. In questo vuoto si inseriscono altri soggetti: il critico, il gallerista, il pubblicitario, la casa d'arte, il museo, la comunicazione, la moda: sono loro che determinano il prezzo e il successo in un sistema che inclina più al business che all'estetica. Un tempo l'opera era cara perché "bella" oggi è bella perché "cara": è il prezzo che ne determina il valore e la qualità. Come possiamo noi poveri mortali negare la bellezza di uno squalo che costa 21 milioni di euro? Del resto, quale essere umano esporrebbe nel suo salotto, un barattolo di merda, se questo non costasse almeno 120 mila euro?
Ottavio Coffano