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Come cambia il cibo

Parlano i ristoratori: «La buona cucina astigiana è sempre ricercata, ma occorre che i locali siano sostenuti»

C’è chi lamenta la mancanza del ricambio generazionale e costi elevati per aprire un nuovo locale, ma i sapori del territorio resistono grazie alla qualità delle materie prime

Tante le ricette che contraddistinguono il nostro territorio, tanti i prodotti a chilometro zero sinonimo di qualità e tradizione e tanto il turismo prettamente enogastronomico che ogni anno porta ad Asti migliaia di visitatori. Nonostante ciò, è in rapido e progressivo aumento la cosiddetta ristorazione etnica, il proliferare di catene di fast food, nuove aperture che di storia, usanze ed eredità territoriale hanno poco. «La richiesta di piatti tipici comunque c’è, – commenta Antonello Murri, responsabile di sala a “La Piola di Garibaldi” – molti arrivano da fuori e, soprattutto nel periodo dei mercatini, abbiamo dovuto rifiutare tanti clienti». La cucina locale quindi continua a essere voluta e cercata «sia dai turisti sia dagli astigiani – sottolinea Murri – e nel nostro menù, oltre ai classici piatti come il vitello tonnato o gli agnolotti, si può trovare anche la giardiniera o il capunet. Dedichiamo infatti molto tempo alla ricerca anche perché i nostri clienti in genere, oltre ad essere attenti alla qualità, sono anche molto preparati». Aperto circa un anno e mezzo fa, La Piola di Garibaldi, in via Garibaldi, da molti astigiani è ancora considerata il bar storico che tutti ricordano: «In realtà – aggiunge Mirko Burdet, chef della Piola – grazie alla passione e al continuo studio per proporre ricette che parlino del territorio, ci stiamo facendo apprezzare anche come ristorante per questo, alla fine, la nascita di ristoranti “alternativi” non ci disturba». «Quello che si può trovare da noi come “i percorsi gustativi” che permettono di assaggiare un po’ di tutto a prezzi modici e con un ottimo vino della casa – informa il responsabile di sala – non lo si trova nel nuovo tipo di ristorazione che apre».

Anche all’Angolo del Beato, in vicolo Cavalleri, il più vecchio tra i ristoranti tipici astigiani, suona la stessa musica: «In questo momento stiamo lavorando addirittura di più, rispetto a qualche anno fa, – osserva il titolare, Antonio Campagna – probabilmente perché, in città, ristoranti come il nostro ne sono rimasti pochi; dedichiamo con successo serate al bollito misto o ad altri piatti proprio per mantenere la nostra cultura». Secondo Campagna, la nascita di ristoranti multietnici è dovuta anche al fatto che sono sempre meno i giovani italiani che intraprendono percorsi per continuare una tradizione di cucina piemontese. «Non c’è più un ricambio generazionale sufficiente – osserva il titolare dell’Angolo – anche perché i costi per aprire nuove attività, a meno che non siano a conduzione familiare, sono notevoli». I piatti della tradizione, nonostante le difficoltà, continuano comunque ad essere richiesti, «anche se, nei giovani, il rischio è che si vada a perdere questo patrimonio culinario».

Che è invece da preservare, magari con incentivi da parte dell’Amministrazione, con attenzione a dove vengono aperte le nuove catene: «In altre città, ad esempio, – commenta Duilio Moiso, titolare da circa trent’anni del Campanarò di corso Alfieri e giunto, con il figlio Simone, alla terza generazione di ristoratori – il centro è tutelato a favore di attività locali; comunque queste aperture non ci disturbano, abbiamo sempre seguito una linea tradizionale e la gente viene per il contesto, per la storia che abbiamo, per quello che rappresentiamo», «Per il buon rapporto qualità prezzo – aggiunge Simone – ma soprattutto per le ricette della tradizione, molto gradite e richieste sia dai turisti sia dai clienti locali». «Abbiamo prenotazioni addirittura per il prossimo settembre – informa Moiso – proprio perché per molti, la venuta in Piemonte è soprattutto viaggio nel gusto».

Oggi mancano le trattoria come una volta, ma «quello che dispiace di questi ristoranti etnici – dice il titolare del Campanarò – è che danno di noi una rappresentazione sbagliata: noi non siamo quello, noi abbiamo sempre investito nella qualità e nel tempo dedicato alla preparazione dei piatti, cosa che non avviene nei ristoranti alternativi». Un panorama dunque, tutto sommato positivo, che premia la tradizione, che indica la voglia di “casa”.

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