Al pari di gas ed energia elettrica, anche per il pellet, combustibile da fonte rinnovabile, dipendiamo fortemente dalle importazioni dall’estero. E, purtroppo, soprattutto dalla Russia che è il produttore mondiale con i prezzi più convenienti grazie alla sua sterminata disponibilità di materia prima, di manodopera a basso costo come a basso costo è l’energia per la lavorazione e il trasporto.
Con il blocco delle importazioni e dunque l’uscita dal mercato del colosso russo che teneva bassi i prezzi, anche il pellet è schizzato alle stelle. Le prime avvisaglie si sono avute già a fine maggio quando, ancor prima di aprire le adesioni per gli acquisti prestagionali, i sacchetti da 15 kg avevano già raggiunto il prezzo di 8,50-9 euro contro i 5,60 nel pieno della stagione e meno di 5 al precedente prestagionale.
Se oggi si fa un giro per supermercati e centri bricolage, quello stesso sacchetto che l’anno scorso si comprava intorno ai 5 euro, ha già sforato i 13 euro.
Si attesta su una media di 11 euro al sacchetto il prezzo praticato da uno dei maggiori commercianti di pellet della provincia, Bruno Trinchero, che ha affiancato all’attività di vendita dei mangimi, anche quello dei pellet, che può fornire anche sfuso in grandi quantità grazie alla conversione delle autobotti del mangime. «Con i blocchi alla Russia sono scomparsi dal mercato circa 2 milioni di tonnellate di pellet – spiega Trinchero – e gli altri Stati europei forti produttori di pellet hanno anche ridotto l’export per far fronte al fabbisogno interno in vista dell’inverno. Se a questo aggiungiamo che molte persone hanno fatto un (insensato) stoccaggio di bancali oltre il necessario, si arriva facilmente a capire perché il pellet costi così tanto e se ne trovi così poco».
Oggi Trinchero si rifornisce per il 70% da produttori italiani (dal Trentino e dai confini con la Liguria) mentre per il resto punta su fornitori francesi ed austriaci. Fino a dicembre i prezzi dovrebbero restare abbastanza stabili, ma dall’anno nuovo è tutto un mistero. Molto faranno le temperature: se rigide, richiederanno una maggiore quantità di sacchetti e questo farà ulteriormente levitare i prezzi. Ma perché dipendiamo così tanto dall’estero anche per il pellet?
«La materia prima non manca – spiega Trinchero che è ormai esperto di questo mercato – ma gli alti costi energetici per realizzare i pellet e l’alto costo del trasporto non rendono conveniente mettere su stabilimenti industriali di questo genere».
Qualcuno ripiega sul cippato, che costa, al quintale, circa la metà del pellet: 36 euro contro gli oltre 60, però bisogna avere le caldaie adatte ed è utilizzato soprattutto nelle zone di montagna e per caldaie di comunità.
«Eppure un modo ci sarebbe per dare una mano alle famiglie che scaldano a pellet – suggerisce Trinchero – Ed è immediatamente applicabile: ridurre al 10% l’Iva sul pellet che oggi invece è ancora al 22%. Su un sacchetto che oggi costa 11 euro, significherebbe un risparmio di circa 2,42 euro. Basterebbe solo la volontà politica».