Quello che in italia, per fortuna, è diventato un tumore quasi raro (2500 casi all’anno), in Africa rappresenta la prima causa di morte per neoplasia nelle donne. E quando, grazie ai progetti di screening attraverso pap test è stato possibile salvare le donne attraverso l’asportazione dell’utero, il problema si è spostato sull’emarginazione di queste donne che, non potendo più partorire, nella cultura locale, erano fortemente penalizzate. Tanto che, molte di loro, rinunciavano all’intervento.
Era necessario, dunque, trovare un modo meno drastico di salvare le donne dal cancro del collo dell’utero lasciando intatta la loro capacità di procreare.
Ed è per questo motivo che l’associazione Patologi oltre Frontiera, oggi una Ong, ha contattato anni fa il primario di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Asti, Maggiorino Barbero in grado di trattare le lesioni pretumorali o inizialmente invasive senza togliere l’utero.
«Con molta perplessità – racconta il dottor Barbero – nel 2006 feci un primo sopralluogo all’ospedale di Chirundu, in Zambia, finanziato dalla Diocesi di Milano e gestito dalle suore. Vi trovai una buona organizzazione, una grande professionalità e una discreta disponibilità finanziaria per poter operare nella direzione che mi era stata richiesta. Come Società Italia di Colposcopia abbiamo donato l’attrezzatura ed abbiamo iniziato gli interventi».
Chirundu ha 3 mila abitanti con una media di 6 figli per famiglia, una positivtà all’Hiv del 23% e l’età media del primo rapporto a 16 anni. L’ospedale gestito dalle suore dispone di 150 posti letti per un bacino di assistiti di circa 80 mila persone. Ogni anno si fanno nascere mille bambini con un solo chirurgo in servizio.
«Negli anni siamo arrivati ad una media di 1200 pap test annuali e oltre 50 interventi eseguiti dai medici locali con il supporto (una volta all’anno) di uno di noi – prosegue Barbero – Quando ritorno a Chirundu, oltre a trattare i casi presenti più complessi ed eseguire gli interventi di chirurgia maggiore, dedichiamo ampio spazio alla formazione del personale sia medico che infermieristico. Il dato confortamente è che tutte le pazienti sottoposte allo screening non hanno più presentato neoplasie invasive del collo dell’utero e nessuna è morta per questo tumore».
Ma in questo progetto Asti è presente non solo con il suo primario, ma anche con la solidarietà dimostrata: grazie ad una raccolta fondi sono stati investiti 20 mila euro per la ristrutturazione del tetto del reparto di Pediatria grazie all’associazione Astrogin Rizzoglio) e un service del Rotary Club astigiano.